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CALCE E DINTORNI

LA CALCE

Terra, fuoco, acqua, aria. I quattro elementi che governano e conformano il nostro pianeta sembrano condensarsi nel materiale che rappresenta per antonomasia il mestiere e l'arte del muratore: la CALCE. Vi è del magico nel cogliere un sasso dalla terra, cuocerlo e demolirlo al fuoco, renderlo plastico con l'acqua, lavorarlo secondo volontà e riottenerlo solido grazie all'influsso dell'aria. Un ciclo completo, che dopo una serie di passaggi successivi porta un materiale ampiamente disponibile in natura - la pietra calcarea - a diventare il legante principale di gran parte delle opere costruttive realizzate dall'uomo negli ultimi cinquemila anni senza mai perdere i caratteri di partenza: vale a dire, le proprietà chimico-fisiche della roccia originaria. Una vera e propria metamorfosi della materia, che cambia, si trasforma e si ricompone per ritornare alla fine sempre uguale a se stessa. Tutto questo per merito e volontà di una schiera di maestranze - dai cavatori ai carrettieri, ai fornaciai, fino ai manovali addetti alla confezione delle malte - che si distribuiscono il compito di offrire ai muratori le calci necessarie per alzare i muri, realizzare gli intonaci, portare a compimento le delicate opere decorative e di finitura. La calce è il più antico e apprezzato dei leganti utilizzati dall'uomo per le edificare, decorare e proteggere le sue costruzioni. Mescolata con sabbia, ha trovato impiego nelle malte da muratura da tempi antichissimi e reperti archeologici ottimamente conservati ne attestano a tutt'oggi valore e durabilità. Per oltre 10.000 anni, la calce dispersa in acqua ha rappresentato il sistema di imbiancatura e igenizzazione delle superfici architettoniche; unita alle terre colorate e ai pigmenti minerali, si è imposta come materiale di riferimento per coloriture, decori murali e affreschi. Oggi la calce non si usa quasi più, i leganti di tipo cementizio e polimeri di sintesi l'hanno sostituita ovunque e comunque, e dell'antico legante rimane soltanto la memoria impressa negli edifici storici e nei trattati di arte ed architettura. Dell'antico legante rimane quasi soltanto la memoria impressa negli edifici storici, nei trattati di architettura, nelle testimonianze dei vecchi muratori. Eppure si fa sempre più strada la consapevolezza che ogni intervento di restauro deve ripartire proprio dai materiali tradizionali, da un loro uso corretto e coerente. A iniziare dalle buone calci del passato. Eppure si fa sempre più strada la consapevolezza che le prerogative e la qualità della calce debbano essere rivalutate: non sono negli interventi di restauro, dove è necessario un uso corretto e coerente dei materiali simili agli originali, ma anche e soprattutto nell’edilizia tradizionale, in bio-architettura, dove i materiali moderni hanno definitivamente mostrato i loro limiti. Calce è un termine generico che comprende i prodotti e le forme chimiche e fisiche, sotto le quali possono presentarsi gli ossidi e/o idrossidi di calcio e/o magnesio. L'impiego di termini quali aerea, viva, caustica, spenta, estinta, calcica, dolomitica ecc. ci consente di distinguere diversi prodotti, tutti riferiti alle calci aeree da costruzione, così come vengono definiti dalla norma europea UNI EN 459-1.

LA CALCE AEREA
La calce aerea, così chiamata perchè indurisce per assorbimento dell'anidride carbonica dall'aria, è il prodotto della cottura di calcari più puri, rocce ad alto contenuto di carbonati di calcio.
Nell'ambito specifico delle calci da costruzione, con calce aerea si indicano due prodotti:

  • la calce ‘viva', costituita prevalentemente da ossido di calcio;
  • la calce ‘idrata' o ‘spenta' costituita prevalentemente da idrossido di calcio.

Dalla cottura dei calcari che contengono anche carbonato di magnesio si ottiene ancora 'calce viva' e successivamente 'calce idrata', che conterrà insieme all'ossido/idrossido di calcio, l'ossido e l'idrossido di magnesio.
I termini di calce viva e calce spenta si usano, pertanto, indipendentemente dal contenuto o meno di magnesio, ma quando si vuole specificare la presenza del solo calcio, oppure del calcio e del magnesio insieme, si distinguono le ‘calci calciche' (CL) e le ‘calci dolomitiche' (DL).
La calce viva non è utilizzabile direttamente in edilizia e all'uscita del forni viene trasformata in calce idrata, facendola reagire con acqua (idratazione).
La calce idrata, impiegata per la realizzazione di malte, intonaci, finiture architettoniche ecc. è disponibile sul mercato in polvere o in pasta.

LA CALCE IDRATA IN POLVERE
La calce idrata in polvere si ottiene facendo reagire la calce viva con acqua in condizioni controllate, tramite apparati chiamati idratatori. La calce idrata in polvere rappresenta l'espressione moderna e industriale della calce, nasce in concomitanza all'avvento dei leganti cementizi, come esigenza di commercializzare leganti secchi da vendersi in sacco in analogia con cemento. La calce idrata in polvere è reperibile in sacchi ed è apprezzata esclusivamente per la comodità di confezionamento.

LA CALCE IDRATA IN PASTA
Commercialmente la calce aerea è disponibile anche sotto forma di pasta, cioè di dispersione densa di calce (idrossido di calcio) in acqua. La calce in pasta è ottenuta aggiungendo in fase di idratazione un eccesso d'acqua rispetto a quella necessaria a trasformare tutto la calce viva (CaO) in calce idrata (Ca(OH)2). La calce aerea in pasta si può ottenere anche stemperando la calce idrata in polvere in acqua fino ad ottenere un prodotto omogeneo.
La calce idrata in pasta è chiamata comunemente 'grassello di calce'.
In realtà, il grassello di calce è un prodotto con caratteristiche peculiari e proprietà che lo rendono unico e non accomunabile ad una pasta di calce idrata.

IL GRASSELLO DI CALCE
La calce idrata in pasta e il grassello di calce sono prodotti molto diversi l'uno dall'altro e non andrebbero mai confusi!
La principale differenza tra una calce idrata in pasta e il grassello di calce è che la prima non beneficia degli straordinari effetti che il tempo produce in ordine alla struttura chimico-fisica del materiale, durante quello che viene chiamato invechiamento o maturazione.
Durante la maturazione (fase che caratterizza e distingue il grassello dalla pasta di calce idrata) i cristalli di idrossido di calcio (portlandite) subiscono importanti cambiamenti morfologici e dimensionali, con il risultato di aumentare plasticità, lavorabilità e ritenzione d'acqua.

 

Alcuni dei vantaggi ottenuti dall'impiego, nella formulazione di malte e pitture, di grassello di calce correttamente invecchiato in luogo al suo corrispettivo di calce idrata in pasta sono:

con il grassello di calce si ottengono malte più 'grasse', più pastiche e lavorabili, quindi meno soggette a ritiro, a suzione da parte delle murature e pertanto preferibili sul piano tecnico e estetico;
le pitture formulate con grassello di calce, rispetto quelle formulate con calce idrata in pasta (o in polvere), hanno una minor tendenza segregare, non richiedono additivi organici, carbonatano, si fissano al supporto con maggior velocità e forza e, se ben applicate, non hanno tendenza a 'sporverare'.
il grassello di calce si carbonata con maggiore rapidità della calce aerea in pasta (o in polvere), con benefici rispetto alla durabilità e alle resistenze dell'opera che si andrà a realizzare, sia questa una malta, un intonaco o una pittura murale ecc.

LA CALCE IDRAULICA
Esistono diversi tipi di leganti ognuno adatto ad un determinato tipo di utilizzo, per questo e altri motivi le calci aeree non vanno mai confuse con le calci idrauliche, leganti assolutamente diversi per origine, chimismo e processi di presa e indurimento. La calce idraulica si distingue dalla calce aerea perché i suoi impasti possono indurire a contatto con l’acqua. L’idraulicità garantisce anche la possibilità di un graduale indurimento anche in condizioni in cui sono limitate le possibilità di scambio con l'anidride carbonica nell’aria che consente le reazioni d’indurimento della calce aerea.
Le calci idrauliche sono materiali da costruzione tradizionali e costituiscono una tappa fondamentale della storia dei leganti impiegati in architettura prima dell'avvento del cemento Portland.
I primi esempi di impiego di malte idrauliche risalgono ai Romani e prima di loro ai Greci. In realtà, questi popoli ottenevano composti idraulici mescolando calce aerea e pozzolana e non direttamente con calci idrauliche, così come noi la conosciamo, che sono prodotti decisamente più recenti.
L'esistenza di calci, ottenute dalla cottura di calcari particolarmente richi di argille, note anche come 'calci forti', è ben documentata, ma fu solo nel Settecento che fu capito che il meccanismo di reazione della calce idraulica era legato alla presenza di impurità argillose, cominciarono le sperimentazioni nella cottura di miscele artificiali di calcare ed argilla.
Nel 1793, J. Smeaton scoprì fortuitamente che la cottura del calcare contenente impurezze di argille produceva un tipo di calce (la calce idraulica appunto) con caratteristiche analoghe a quelle della miscela calce-pozzolana.
L'aggettivo 'idraulico', riferito a un legante, è stato introdotto da ingegnere francese Louis Vicat (1786 –1861), che per primo stabilì in maniera precisa le proporzioni tra calcare e argille necessaria a produrre materiali in grado di fare presa e indurire anche in assenza di aria, ovvero in presenza di acqua. Sempre il Vicat, propose la prima, e sotto molti aspetti ancora valida, classificazioni delle calce idrauliche.Con calci idrauliche si intendono prodotti derivati dalla calcinazione di calcari marnosi o marne calcaree (miscele naturali che presentano un certo tenore, dal 6 al 22%, di argille o altri alluminosilicati idrati) sottoposti a cottura a temperature generalmente comprese tra 1100 e 1250°C.
In tali condizioni si forma ossido di calcio (CaO) che successivamente si combina in parte con la silice e l’allumina dell’argilla formando silicati e alluminati di calcio idraulici, composti cioè che reagendo chimicamente con l’acqua formano idrati stabili ed insolubili che permettono al materiale di indurire e rimanere stabile anche sott’acqua (azione idraulica).
Calce Idraulica (HL) o Calce Idraulica Naturale (NHL)?

Negli ultimi cento anni, i significati dei termini utilizzati per designare i leganti idraulici hanno subito alcune importanti variazioni.
Ciò ha determinato notevole confusione e disorientamento da parte degli utilizzatori della calce.
Attualmente, in base alla norma UNI EN 459-1:2001, ciò che commercialmente viene indicato come Calce Idraulica (sigla HL) non viene prodotto per cottura di marne o miscele di calcare ed argilla ma è ottenuto, di fatto, miscelando cemento Portland con un buon tenore di filler (materiale inerte macinato finemente, generalmente di tipo calcareo) e piccole quantità di additivi aeranti.
I prodotti ottenuti con la cottura di marne naturali oppure di mescolanze omogenee di pietre calcaree e di materie argillose sono indicati come Calci Idrauliche Naturali.
Le calci idrauliche naturali vengono contraddistinte con la sigla NHL (Natural Hidraulic Limes) in quanto, non sono modificate e idraulicizzate con l'aggiunta di materiali pozzolanici o idraulici (clinker, cemento, ceneri ecc).
Nel caso specifico delle calci idrauliche naturali, la normativa prevede una distinzione basata sulla resistenza meccanica e sul tenore di calce libera; tale distinzione si traduce nella definizione di tre classi: NHL 2, NHL 3,5, NHL 5.

La Norma UNI EN 459-1:2001. Attenzione alle sigle!

La norma UNI EN 459-1:2001 classifica le calci idrauliche in tre categorie.
Calci Idrauliche Naturali (NHL): derivate esclusivamente da marne naturali o da calcari silicei, senzal’aggiunta di altro se non l’acqua per lo spegnimento;
Calci idrauliche naturali con materiali aggiunti (NHL-Z): calci come sopra, cui vengono aggiunti sino al 20% in massa di materiali idraulicizzanti o pozzolane:
Calci Idrauliche (HL): calci costituite prevalentemente da idrossido di Ca, silicati e alluminati di Ca, prodotti mediante miscelazione di “materiali appropriati”. Grazie a questa norma, finalmente, si è definito cosa deve intendersi per calce idraulica naturale (NHL). Secondo questa classificazione, il solo materiale che, a pieno titolo, può essere definito e impiegato come tale è quello siglato NHL.

Il numero che accompagna la sigla (NHL 2, NHL 3.5 e NHL 5) indica la resistenza meccanica della calce, riferita come minima resistenza alla compressione di un provino di malta dopo 28 gg. di stagionatura, espressa in MegaPascal (Mpa).La classificazione delle resistenze vale anche per le altre due categorie di calci idrauliche, la NHL-Z e la HL, create ovviamente per lasciare spazio a tutti quei prodotti che sino ad ieri hanno occupato il campo della calce idraulica naturale propriamente detta.

IL CICLO DELLA CALCE
Il processo di produzione della calce consiste nella cottura di calcari (calce aerea), o di calcari silicei o argillosi (calce idraulica) a temperature elevate (circa 900 °C per la produzione di calce aerea e circa 950-1250 °C per la produzione di calce idraulica).

In uscita dal forno, la calce (calce viva) viene trasferita all’impianto di idratazione per ottenere altri prodotti (calce idrata, latte di calce, grassello, calce idraulica).
“Vi è del magico nel cogliere un sasso dalla terra, cuocerlo e demolirlo al fuoco, render lo plastico con l'acqua, lavorarlo secondo volontà e riottenerlo solido grazie all'influsso dell'aria” così scriveva, il filosofo, poeta e scienziato greco Empedocle nel suo scritto Della Natura, riferendosi alla preparazione della calce, introducendo per la prima volta quello che oggi chiamiamo “ciclo delle calce”.
Un ciclo completo, che dopo una serie di passaggi successivi, porta un materiale ampiamente disponibile in natura, la pietra calcarea, a diventare il legante principale di gran parte delle opere costruttive realizzate dall'uomo negli ultimi cinquemila anni.

RACCOLTA
Il ciclo produttivo della calce inizia con in reperimento in cava (marna) o nel greto del fiume (calcare siliceo). Nei secoli passati era estratto e raccolto dove la pietra risultava abbondante e presentava i caratteri idonei alla preparazione di ottime calci con un certo grado di idraulicità. Questo compito era affidato ai carrettieri che per esperienza, sapevano riconoscere a colpo d'occhio i ciottoli "buoni", di colore biancastro-nocciola o giallino, ideali per la produzione della calce, da quelli "matti", di tonalità grigia, composti quasi esclusivamente da silice.

QUATTRO MOMENTI DEL CICLO DELLA CALCE
Il ciclo della calce si compie in quattro momenti fondamentali, corrispondenti alla selezione del calcare (1), la cottura (2), lo spegnimento (3), la carbonatazione (4). Si tratta di una schema semplificato, perchè in realtà le trasformazioni chimico-fisiche che avvengono durate i diversi processi sono assai complesse e articolate.

  1. La selezione del calcare: Le caratteristiche mineralogiche e chimiche dei calcari usati come materia prima per la fabbricazione della calce sono di fondamentale importanza. I calcari più idonei alla fabbricazione della calce aerea devono avere una struttura microcristallina, alto contenuto di carbonati e contenere percentuali di impurità, in particolare di natura argillosa, non superiori al 5%.
  2. La cottura: In fase di cottura, il calcare viene immesso nei forni e portato a una temperatura prossima a 900°C. In tali condizioni il carbonato di calcio si decompone in ossido di calcio (calce viva) e anidride carbonica. La reazione schematica del processo è la seguente: CaCO3 -> CaO + CO2
  3. Lo spegnimento: La calce viva, messa a contatto con acqua reagisce con un forte sviluppo di calore e si trasforma in una polvere bianca (o in una pasta) chiamata calce spenta, chimicamente idrossido di calcio. La reazione schematica è la seguente: CaO + H2O -> Ca(OH)2
  4. La carbonatazione: Una volta in opera, in forma di malte, stucchi, pitture ecc., interviene la carbonatazione. Tale processo che può avvenire solo in presenza di anidride carbonica (e acqua libera) porta la trasformazione della calce spenta in calcite, chiudendo così quello che viene chiamato ciclo della calce. La reazione schematica della carbonatazione è la seguente:Ca(OH)2 + CO2 -> CaCO3 + H2O

Anche se la reazione precedente è corretta dal punto di vista formale, la reazione reale è più complessa. Osservando la precedente reazione infatti, il processo sembrerebbe avvenire tra un solido Ca(OH)2 e un gas CO2, mentre in realtà la reazione avviene in fase acquosa grazie all'acqua di impasto della calce.

LA CALCE IN ARCHITETTURA
La calce rappresenta, per antonomasia, il mestiere e l'arte dell'edificare. La calce trova impiego nella realizzazione degli edifici nelle malte da muratura, allettamento, stuccatura, negli intonaci interni ed esterni, nei calcestruzzi per fondazioni, murature a sacco ecc.
La calce è impiegata altresì nelle finiture architettoniche, negli stucchi e marmorini, così come nelle tinte murali e negli affreschi. La totale compatibilità con tutti i materiali costruttivi, pietra, laterizio, legno, terra cruda ecc. ne fanno il più apprezzato e valido legante di ogni epoca e civiltà, e da preferirsi a ogni altro nelle opere di restauro.

MALTE
La malta è una miscela di leganti inorganici, aggregati prevalentemente fini, acqua ed eventuali altri componenti (organici e/o inorganici), in proporzioni tali da conferire all'impasto opportuna lavorabilità e adeguate caratteristiche fisico-meccaniche una volta compiuti i processi di presa e indurimento. La malta è una miscela in proporzioni variabili di legante, aggregato ed acqua, per ottenere un impasto plastico che ha capacità di indurire in un tempo più o meno lungo a seconda della sostanza adoperata come legante. L'aggregato ha il compito di aumentare il volume dell'impasto, di facilitare il passaggio dell'anidride carbonica necessaria per una buona presa o indurimento e di impedirne il ritiro volumetrico con conseguente formazione di cavillature.
Il legante, per trasformazione fisica e per reazione chimica, provoca l'unione delle particelle dell'aggregato altrimenti incoerenti. Le malte vengono classificate sulla base della tipologia d'impiego in: malte per murature (di allettamento, di riempimento, ecc.); malte per intonaci; malte per decorazioni (a spessore, a rilievo, ecc.); malte per usi particolari (stuccature, sigillature, stilature, ecc.); malte per applicazione rivestimenti (pavimentazioni, pareti, ecc.).

Malte di calce: aeree o idrauliche?

La distinzione tra le diverse malte può essere basata anche sulla natura dell'impasto, che si definisce 'aereo' o 'idraulico', in relazione alla capacità di indurire in presenza di aria (malte aeree) ovvero anche in presenza di acqua (malte idrauliche). Impiegando la calce aerea o calce idraulica come leganti nella formulazione di una malta si potranno ottenere tre tipi fondamentali di impasti.

MALTE ORDINARIE (aeree)
Sono malte che fanno presa ed induriscono solo in presenza di aria (anidride carbonica). Sono miscele di calce arera (calce idrata in polvere o grassello di calce) e aggregati (non pozzolanici) e acqua. In relazione all'impiego e alla tessitura e al colore desiderato, gli aggregati potranno essere sabbie di diversa granulometria e natura, frammenti e polvere di materiali litoidi quali marmo, calcari, ecc. Anche se è ormai dimostrato che un aggregato non ha un comportamento 'inerte' rispetto alla malta, in questo tipo di malte non sono impiegati materiali a comportamento pozzolanico e l'indurimento dell'impasto avviene solo per processi di carbontazione della calce.

La calce aerea trasferisce ad una malta le seguenti proprietà:

  • plasticità e lavorabilità
  • promuove forze di legame
  • fornisce alta ritenzione d'acqua
  • maggiore flessibilità e resilienza sotto stress
  • scarsa tendenza a formare efflorescenze
  • grande traspirabilità, che permette all'umidità interna di evaporare facilmente.

MALTE IDRAULICHE (di calce aerea)
Le malte a base di calce aerea realizzate (calce idrata in polvere, calce idrata in pasta o grassello di calce) possono essere rese idrauliche aggiungendo, al momento dell'impasto, frazioni di pozzolana o meglio di materiali pozzolanici*.
I materiali a comportamento pozzolanico sono sostanze naturali o sottoprodotti industriali che hanno una struttura amorfa o parzialmente cristallina e sono composti di silice, o di silico-alluminati o da una combinazione di questi.
Le sole pozzolane non induriscono una volta messa a contatto con acqua, ma se vengono finemente macinate possono reagire con l'idrossido di calcio, in presenza di acqua e a temperatura ambiente, e formare silicati del calcio idrati. Le malte idrauliche d calce aerea sono di particolare importanza storica essendo state utilizzata dai Romani in grandi opere che si sono ottimamente conservate fino ai nostri giorni.
Nelle migliori condizioni di realizzazione per quanto riguarda la composizione,costipazione e maturazione, la resistenza a compressione di una malta ottenuta con calce e pozzolana può variare tra 3 e a 9 MPa, nettamente superiori a quelli di una malta ottenuta con calce aerea.
Ulteriori proprietà degli impasti di calce e pozzolana rispetto alle malte ordinarie sono le seguenti:

  • maggiore resistenza meccanica
  • minore permeabilità all'acqua
  • maggiore durabilità in ambiente esterno.


*La pozzolana, inizialmente estratta dalle cave di Pozzuoli, è un prodotto di origine vulcanica costituito prevalentemente da silicati idrati di allumina, da silice al 70%, ossido di ferro, potassio, sodio e magnesio. Hanno natura acida e reagiscono con l’ossido di calcio per dare silicati amorfi.
L'argilla cotta (cocciopesto), inerte usata fin dall’antichità, è un'argilla composta da silicato di alluminio cotto e frantumato. Si può considerare una pozzolana artificiale e veniva usata sin dall' Antichità per realizzare interventi in presenza di acqua (acquedotti, fogne, porti ecc) e come impermeabilizzante di coperture.

MALTE IDRAULICHE (di calce idraulica naturale)
L'impiego di malte idrauliche risale all'Antichità, ma fino al XVII secolo non si ha notizia che siano state impiegate altre malte idrauliche se non quelle appena ciatate, a calce e pozzolana.
Le malte idrauliche di calce idraulica si realizzano appunto con calce idraulica naturale e aggregato, non necessariamente a comportamento pozzolanico.
Troppo spesso le malte idrauliche più comuni sono quelle ottenute aggiungendo alla calce idraulica una percentuale variabile di cemento: consuetudine deprecabile sopratutto negli interventi di restauro.

Normativa

Per orientarsi nel panorama normativo sulle malte, è necessario fare riferimento alla Norma armonizzata europea UNI EN 998-1- Specifiche per malte per opere murarie - Malte per intonaci interni ed esterni, secondo la Direttiva Europea 89/106 CEE-Marcatura CE dei prodotti da costruzione. La UNI EN 998-1, in vigore dal 1 febbraio 2005, classifica le malte in base al concetto come malte a prestazione garantita o malte a composizione prescritta; in base alla modalità di produzione come malte prodotte in fabbrica, malte semifinite prodotte in fabbrica o malte prodotte in cantiere e, ancora, in base alle proprietà e/o all’utilizzo. Nella norma vengono definiti i requisiti che devono avere le malte indurite e le malte fresche.
Precauzioni d'uso: Tutte le calci hanno carattere alcalino ed a contatto con acqua sviluppano pH molto elevati (pH>12).
Le malte di calce sono fortemente irritanti per la pelle e gli occhi e le polveri anche per le vie respiratorie, impiegandole è quindi indispensabile a adottare le dovute attenzioni e appropriati mezzi di protezione personale.

INTONACI
La malta prende il nome di “intonaco" quando è impiegata a formare una struttura stratificata di rivestimento di una muratura.Intonaco è il termine usato in architettura per indicare la parte più esterna del rivestimento superficiale delle strutture verticali. L’uso di rifinire le superfici murarie con intonaci di calce e sabbia ha origini antichisime, è attestato con certezza in alcune città dell’antica Grecia: a Delo si sono riscontrate pareti rivestite da due, tre, quattro e talora cinque stesure.
In epoca romana, dei rivestimenti parietali parla diffusamente Vitruvio che raccomanda l’uso di ben sette strati. Più in generale, con tutte le varianti tecniche finalizzate ai diversi usi, per tutti i lunghi secoli della storia, l’uomo ha protetto e rifinito i muri degli edifici con intonaci capaci di resistere per centenni, se non millenni.
Purtroppo oggi, non esiste alcuna continuità tra le tecniche di intonacatura storiche, sia sul piano materiale sia tecnologico: la calce, legante privilegiato di tutti tipi di intonaco, è stata man mano sostituita dal cemento, a scapito della qualità estetica e delle esigenze di traspirabilità della massa muraria. Ciò ha portato anche all'abbandono pressoché totale anche delle più diffuse tecniche di finitura a calce (tinte, affresco, ecc.).

GLI INTONACI E LA CALCE
Gli intonaci, come le malte, si distinguono in base al legante usato: l'intonaco a base di calce, definisce un impasto dove l'unico legante è la calce, aerea e/o idraulica.Dopo quasi un secolo di oblio, durante il quale sono stati compiuti danni non indifferenti alle costruzioni, viene rivalutato l’uso della calce come legante principale da utilizzare per gli intonaci. I pregiudizi, infondati, secondo cui la calce non sarebbe solida e resistente quanto il cemento perdono oggi di importanza e gli intonaci a calce vengono sempre più considerati migliori sotto diversi aspetti e in assoluto i soli compatibili con i materiali edilizi tradizionali e antichi (laterizio, pietra, ecc.).
Gli intonaci a calce hanno inoltre come prerogativa quella della traspirabilità, che favorisce l'allontamento dell'acqua contenuta nelle murature contribuendo alla conservazione degli edifici e al benessere abitativo.

ESECUZIONE DELL'INTONACO
Secondo la tipologia della struttura muraria, l'intonaco a base di calce può essere costituito da una o più stesure.
In caso di supporti tradizionali, come pietra, mattone o misti (mattone e pietra) si applicano, preferibilmente a mano, tre strati, di cui il primo con funzione di aggrappaggio (rinzaffo), il secondo per realizzare l'opportuno spessore (arriccio), e il terzo per la finitura (stabilitura).

RINZAFFO
Il rinzaffo, fatto con inerti a granulometria più grossa e con elevato dosaggio di legante, regolarizza il supporto e lo prepara in modo da assicurare buona aderenza agli strati successivi. La malta viene gettata a cazzuola, e con forza, contro la parete. Lo spessore dipende dagli avvallamenti e dalla disomogeneità della superficie: in quei punti dove è elevato si inseriscono frammenti di mattoni.

ARRICCIO
Appena il rinzaffo sarà perfettamente asciutto, si stenderà lo strato di arriccio che deve compenetrare nella scabrosità del rinzaffo, in modo che la muratura risulti perfettamente piana ed uniforme, senza ondulazioni. Nell'arricio, con prevalenti funzioni di tenuta e di impermeabilità, il minore dosaggio di leganti consente di limitare il ritiro. E' costituito da una parte di calce e due-tre parti di sabbia di granulometria media. È importante non avere eccesso d'acqua nella malta, per evitare ritiro in fase di presa e l'insorgere di cavillature. Lo spessore dell'arriccio è in relazione alla presenza di sconnettiture del muro di supporto: in genere non deve essere mai inferiore al mezzo centimetro. La superficie dovrà essere finita a frattazzo in legno così che l'intonaco si presenti con grana fissa e senza saldature, sbavature od altro difetto.

STABILITURA
La stesura della finitura finale, la stabilitura, ha funzione estetica. Lo stato è costituito da una malta ottenuta con sabbia a grana fine, il suo spessore può raggiungere il mezzo centimetro, anche se in genere inferiore, soprattutto se la malta è ricca di calce. La finitura deve essere data possibilmente sul corpo dell'arriccio ancora piuttosto fresco, così da creare uno stabile collegamento.

PRECAUZIONI
A fine realizzazione è necessaria una accurata bagnatura della parete, per evitare che il supporto assorba l'acqua di impasto dell'intonaco, con rischio di distacco ovvero, più spesso, con formazione di crepe da ritiro per eccessiva rapidità di asciugatura.
Oltre alla bagnatura, indispensabile, sono particolarmente importanti le condizioni ambientali al momento dell'intonacatura: pareti eccessivamente calde, soleggiate o battute dal vento e bassa umidità relativa dell'aria (il ritiro aumenta sensibilmente al diminuire dell'umidità ambiente) non sono certo condizioni ideali per eseguire buone intonacature.

Queste cure devono essere applicate anche e soprattutto alle pareti realizzate in supporti molto porosi. Se poi un intonaco, anche applicato secondo ogni magistero, viene tinteggiato prima che abbia completato la sua naturale maturazione e quindi esaurita tutta la fase di ritiro e di buona parte del ritiro di indurimento, le microcavillature, prevedibili in funzione della natura stessa dell'impasto, compariranno inevitabilmente sulla superficie tinteggiata.
Per contenere le cavillature sugli intonaci è necessario:

costruire la muratura con giunti di malta verticali e orizzontali ben costipati, senza vuoti o rientranze rispetto ai blocchi;
bagnare il muro prima delle operazioni di intonacatura;
porre particolare attenzione alle condizioni termo-igrometriche evitando di operare con temperature troppo elevate, vento, umidità ambiente troppo bassa (le condizioni ideali sono quelle comprese fra i 5 e i 20 °C, con Ur pari al 50% circa);
realizzare l'intonaco almeno a tre strati;
consentire la maturazione dello strato di rinzaffo prima di posare lo strato di corpo e finitura;
bagnare l'intonaco per qualche giorno;
tinteggiare solo a indurimento avvenuto. Attendere almeno 20 giorni prima di applicare la pittura calce sulla superficie preventivamente inumidita se si opera in giornate particolarmente calde e ventilate.
GRAFFITO O SGRAFFITO
Il graffito è un intonaco costituito da due strati di colori differenti. Incidendo il primo strato ed asportandolo secondo lo schema decorativo previsto, compare quello sottostante di colore diverso.
Le decorazioni a graffito si ottengono coll’applicare al rinzaffo di calce rustica lasciato convenientemente essicare, uno strato di pochi millimetri di calce mista al colore generalmente scuro che si vuole avere per fondo. Su questo strato bene spianato, si stende con un pennello una tinta di latte di calce uguale a quella quasi bianca che deve avere tutto
il muro di facciata; poi con una una punta d'acciaio si toglie la tinta, in modo da scoprire il fondooscuro secondo il disegno che si vuole avere, e che sarà prima stato tracciato.

CALCESTRUZZI
Il termine calcestruzzo che è generalmente associato ad un materiale da costruzione moderno, include in realtà anche materiali compositi a base di calce aerea, largamente utilizzati nell'antichità. Calcestruzzo deriva dal latino calcis structio, che significa struttura composta da calce.
Solamente dopo il XVIII sec. sono chiamati in questo modo tutti i conglomerati artificiali costituiti dall'impasto tra un legante, acqua, sabbia e frammenti di pietra di varia dimensione.
Già nel 300 a.C. i romani realizzarono un conglomerato calce-pietra con straordinarie caratteristiche meccaniche.
Vitruvio nel “De Architectura” parla del calcestruzzo (opus ceamenticium) composto di pezzi di tufo, pozzolana e calce (il Pantheon a Roma è stato realizzato con questo materiale).

La differenza tra il moderno calcestruzzo e il opus ceamenticium sta pertanto non tanto nel metodo di posa ma nel tipo di legante utilizzato: oggi si usa il cemento, mentre in passato la calce aerea e la pozzolana. Il calcestruzzo formulato con la calce viene utilizzato in tutte le epoche grazie alla notevole riduzione dei costi del legante ottenuta tramite l'aumento del volume dell'impasto mediante l'inserimento di uno scheletro grossolano che ne migliora anche la resistenza meccanica.

STUCCHI E MARMORINI

Stucchi: Anticamente quando si parlava di 'stucco' si intendeva un impasto a base di calce e di polvere di pietra o di marmo, capace di fornire un impasto modellabile e colorabile in opera prima del suo indurimento.
Oggi, comunemente ed erroneamente, con stucco ci si riferisce indistintamente sia allo stucco a base di calce sia a quello a base di gesso, ma le due forme che ne scaturiscono sono tra loro assai differenti sia negli aspetti tecnici che in quelli estetici.
In passato, con il vocabolo stucco s'intendeva esclusivamente un composto a base di calce spenta, mentre lo stucco a base gesso, prodotto tipicamente industriale dell'edilizia moderna, prende il grande sopravvento durante il XIX secolo, per ragioni principalmente economiche, di velocità e di semplicità di applicazione.
Lo stucco a calce veniva lavorato in "opera" prima che indurisse, il gesso si presta a lavorazioni a banco o a stampi e di conseguenza più adatto al processo di industrializzazione.

Marmorini: Anche “Marmorino” è un termine dal significato complesso che si presta ad essere sovente equivocato, e cheinclude numerose accezioni che sono testimonianza di una innumerevole serie di variazioni nel corso della storia.
E' chiamata 'marmorino' la malta preparata con calce spenta (grassello) mescolata a polvere di marmo e utilizzata come stucco e/o come intonaco.
Marmorino è pertanto sinonimo di stucco, quando l'impasto è trattato in modo da imitare la consistenza e la brillantezza di superfici in marmo.
Mentre marmorino può essere riferito ad un particolare tipo di intonaco (intonaco marmorato) quando è applicato come strato di finitura, composto da un impasto di grassello e polvere di marmo, ed eventualmente lucidato.
La tecnica di intonaco a marmorino è descritta nel Dizionario Tecnico del 1884: "Intonaco marorato. Gli antichi romani facevano un intonaco colorito, e lo davano in sei distinte mani che tutte insieme non oltrepassavano la grossezza di circa 27 millimetri: le prime tre erano di calce e sabbia, o rena comune, e rispondevano agl'intonachi ordinari presentemente in uso: le altre tre mani si davano con una pasta di calce e polvere di marmo: l'ultima mano era battuta con mestola di legno e quindi arrotata con marmo per fargli prendere un pulimento matto, ossia senza lustro. Su questo intonaco si davano i colori, che si mantenevano brillanti strofinandoli con cera strutta nell'olio purissimo e data a caldo. Quando era raffreddata, si faceva struggere di nuovo, avvicinando al muro un caldano e si lasciava che l'intonaco se ne imbevesse a saturazione".

L’impiego del marmorino per le finiture degli edifici era conosciuto già al tempo dei Romani, Vitruvio ne parla infatti nel I° secolo a.C. nella sua opera “De Architectura”; a quel tempo veniva usato in spesse e multiple stratificazioni che arrivavano anche a dieci centimetri, ottenendo così una superficie liscia, compatta e piana. Talvolta i primi strati erano costituiti da calce e coccio pesto che, essendo poroso, era in grado di assorbire una maggiore quantità di sali solubili nelle murature umide. Ovviamente simili realizzazioni imponevano l’impiego di una grande quantità di manodopera, oltre che una mirabile organizzazione del lavoro, perché necessitavano di una lavorazione particolarmente energica sia per fare compattare l’inerte sia per fare trasudare l’acqua dell’impasto sulla superficie.
Nel medioevo l’intonaco con polvere di marmo fu utilizzato solo per le stesure di base da dipingere poi ad affresco. Tale impiego rimase limitato all’area dell’alto Adriatico e forse trae le sue origini nel Regno Romano d’Oriente.
L’organizzazione del lavoro di allora non consentiva lavorazioni complesse, infatti troviamo realizzazioni in un’unica stesura, di soli due o tre millimetri, con la superficie lisciata e caratterizzata da ondulazioni, una superficie bianca come quella di una tavola per dipingere.
Si dovrà attendere il Rinascimento per vedere la riscoperta del “marmorino” nell’ambito della più generale attenzione per la cultura classica.

Dalla fine del Quattrocento si realizzeranno tutta una serie di costruzioni che cercheranno di riprendere l’architettura romana e queste inizieranno ad avere una semplice lisciatura a calce e polvere di marmo su un intonaco con sabbia, quello che oggi chiameremmo spatolato di calce, allora realizzato a cazzuola, che via via si completa nella sua configurazione originaria di marmorino con lo strato di cocciopesto. Questa elegante finitura caratterizzerà molta dell’architettura veneziana del rinascimento, impreziosirà i fronti che si specchiano sul Canal Grande, confondendosi con quelli in pietra d’Istria, così come molte superfici meno importanti dei centri storici veneti. Il marmorino caratterizzerà anche le mirabili opere architettoniche di grandi artisti veneti come Jacopo Tatti, detto il Sansovino, Andrea di Pietro dalla Gondola, detto il Palladio, Vincenzo Scamozzi e tanti altri. Opere come le Procuratie Nuove, le chiese di San Giorgio e del Redentore a Venezia, le ville venete della Malcontenta, di Maser e della Rotonda, la Loggetta di San Marco a Venezia sono tutte opere apprezzate nel mondo anche per la loro preziosa finitura. Una finitura che simulava il materiale nobile della pietra come ci ricorda il caso di Palazzo dei Diamanti a Ferrara dove la parte di rivestimento in pietra giunge sino alla fine del piano nobile ossia dove l’intonaco imitava l’effetto della pietra; un espediente questo che caratterizzerà molte architetture del tempo.
Il Sei e il Settecento è il periodo che presenta la maggiore diffusione del marmorino, soprattutto nell’area Veneta. Lo strato di calce e polvere di marmo si configura con un maggiore spessore, mediamente quattro millimetri, e la lavorazione avviene mediante ferri più ampi che consentono un perfetto livellamento della superficie. Queste stesure allora insistevano di norma anche su di un altro strato, costituito da calce e cocciopesto, il quale risultava particolarmente indicato nelle zone umide. Da tali realizzazioni che caratterizzeranno le superfici di moltissime edificazioni del Veneto, deriverà anche la denominazione di “marmorino veneziano” che si riferisce proprio all’insieme di questi diversi strati di intonaco.
Parimenti alla pietra naturale anche la pietra artificiale, il marmorino, veniva trattata per aumentare la sua lucentezza e la sua resistenza agli agenti atmosferici, e nel “L’Architettura” di Leon Battista Alberti apprendiamo di una finiura a cera e di una a sapone. La prima di queste finiture, in realtà un insieme di cera e resina mastice con un po’ d’olio, veniva applicata ad intonaco asciutto e veniva fatta penetrare nella superficie con il calore dei bracieri, poi la superficie doveva essere strofinata accuratamente sino alla lucidatura. La seconda di queste finiture era decisamente più semplice e prevedeva la lisciatura dell’ultimo strato irrorandolo con il sapone bianco sciolto in acqua tiepida. L’effetto di queste due finiture era decisamente opposto, la prima portava ad una saturazione cromatica, quindi adatta per le realizzazioni di piccole misure con intense colorazioni, mentre la seconda portava ad un biancore della superficie, più adatta quindi alle ampie pareti chiare. Bisogna fare presente che talvolta l’operazione di encausticatura viene confusa con l’antica tecnica dell’encausto, che invece è il dipingere con colori mescolati a cera sull’intonaco.
Nell’Ottocento abbiamo un grande cambiamento dovuto all’incremento dei costi della manodopera e, per questo motivo, le laboriose lavorazioni a calce diventano sempre più rare e aumentano le realizzazioni e le ricette di cosiddetti “marmorini” costituiti da gesso e colla.

TINTE A CALCE
Le proprietà tecniche ed estetiche delle tinte a calce, quali l'efficienza chimico-fisica, la traspirabilità, la compatibilità con il supporto, la morbidezza dei toni, la ricchezza e la brillantezza delle componenti cromatiche ecc., comparate con quelle d’altri tipi di pittura murale sono note da sempre e, ancor oggi oggetto di grande attenzione. La calce dispersa in acqua fino a raggiungere l'aspetto di latte vaccino rappresenta il più antico, economico e nobile sistema di finitura delle superfici architettoniche, interne ed esterne. Le tinte a calce consentono altresì la realizzazione di una ricchissima "tavolozza di colori", utilizzando pigmenti inorganici (terre naturali) ed ossidi minerali. Ma la qualità e la tenuta di un trattamento con pitture a calce dipende in larga misura dalle modalità d'impiego seguite, dalla competenza e dalla sensibilità delle maestranze. Dagli anni '60 del Novecento, le tradizionali tinteggiature murali a calce sono state rapidamente e completamente soppiantate dalle moderne 'idropitture' a base di leganti polimerici e pigmenti ottenuti per via chimica. La diffusione di queste pitture ha dato luogo a tutta una serie di inconvenienti, particolarmente gravi a riguardo degli antichi edifici.

Oggi assistiamo ad un progressivo ritorno alla tingeggiatura a calce perchè dotata di alcune qualità che la rendono unica.
Tra queste:

  1. le pitture a calce proteggono le murature in modo perfetto, assicurando soprattutto traspirabilità e benessere abitativo, fattore molto spesso disatteso dalle pitture moderne.
  2. le tinte a calce hanno una compatibilità chimico-fisica totale rispetto agli intonaci a calce, evitano il fenomeni di esfoliazione e il conseguente degrado delle murature.
  3. la manutenzione delle tinte a calce è semplice ed economica, non richiede ad esempio la rimozione degli strati precedenti, ne l'applicazione di primer sintetici che assicurino la tenuta degli strati soprammessi a quelli più antichi.
  4. le tinte a calce hanno un altissimo valore estetico (determinato dalle proprietà ottiche della calcite);
  5. la profondità e varietà delle tinte calce, sono qualità non raggiungibili da nessun altro tipo di pittura.

Le proprietà ottiche della calcite e delle tinte a calce

Una delle più importanti proprietà fisiche della calcite è la birifrangenza ossia lo sdoppiamento dei raggi luminosi che attraversano un cristallo.

Se si pone un romboedro di sfaldatura trasparente su di un punto disegnato su di un foglio di carta e lo si osserva attraverso il cristallo, il punto apparirà sdoppiato. Se si ruota il cristallo si noterà un punto che rimane fermo (raggio ordinario) ed un punto che ruota assieme al cristallo stesso intorno al punto fermo (raggio straordinario). La birifrangenza è una caratteristica fisica di tutti i minerali dimetrici e trimetrici, ma è particolarmente evidente nella calcite grazie alla grande differenza tra i due indici di rifrazione che rispettivamente per il raggio ordinario (1.658) e per quello straordinario (1.486).
Ciò spiega perche una tinta a calce, che dopo la carbonatazione è formata da una coltre di migliardi di cristalli di calcite di piccolissime dimensione, offre qualità estetiche uniche e irripetibili.

AFFRESCO
La pittura a fresco più comunemente chiama 'affresco' è una tecnica di pittura murale privilegiata fin dai tempi antichissimi.
Secondo l'etimologia della parola con affresco s'intende ogni pittura eseguita stendendo il colore (ottenuto semplicemente stemperando i pigmenti in acqua) sull'intonaco fresco, cioè non ancora consolidato o meglio non ancora carbonatato.
I pigmenti, scelti tra quelli compatibili con la calce, sono fissati alla parete ed entrano a far parte dei processi di carbonatazione della calce contenuta nell'intonaco e delle reazioni che portano a formazione di carbonato di calcio e silico-alluminati che danno garanzia di compattezza e durevolezza.
La pittura affresco necessita di un buon supporto, perciò arriccio, intonaco e intonachino devono essere stesi con tutte le cure possibili, tenendo in gran considerazione la scelta degli aggregati e il rapporti con la calce.
L'affresco richiede, inoltre, una certa velocità d'esecuzione perché la superficie d'intonaco deve essere dipinta prima che si compia il processo di carbonatazione: da qui la pratica di procedere all'applicazione dell'ultimo strato d'intonaco e alla pittura per zone limitate (giornate o bancate).

Cenni sulla tecnica dell'affresco

La tecnica dell'affresco ha subito rilevanti modifiche nel corso dei secoli. Se già nell'antica Grecia se ne conosceva probabilmente il procedimento, esso fu certamente applicato nelle opere realizzate a Pompei. Dall'epoca paleocristiana all'alto Medioevo, l'esecuzione dell'affresco è stata legata al sistema detto delle "pontate", che prevedeva la lavorazione per livelli successivi della fascia di muro antistante i ponti delle impalcature. A questo procedimento andò sostituendosi, nell'arte italiana di fine Duecento, l'usanza di lavorare "per giornate", stendendo cioè il tonachino solo sulla porzione di muro che si intendeva dipingere durante la giornata. L'utilizzo del sistema delle "giornate" è essenzialmente legato al nome di Giotto, che inaugurò il nuovo metodo nella grande navata della Basilica Superiore di Assisi. Nello stesso periodo, si diffuse la tecnica delle "sinopie", disegni preparatori color ocra rosso realizzati sopra il disegno a carboncino precedentemente tracciato sullo strato di arriccio. Le più antiche e complete notizie sulla tradizione della pittura a fresco legata a quest'epoca ci sono offerte dal Libro dell'arte di Cennino Cennini (circa 1390). L'utilizzo delle sinopie sopravvisse fino al XV secolo, quando fu sostituito dal sistema dello "spolvero". In questo procedimento il disegno preparatorio veniva realizzato su carta della grandezza dell'affresco da eseguire, che veniva perforata con punte di metallo che ne seguivano i contorni; applicata poi la carta sull'intonaco, vi si passava sopra un sacchetto di polvere di carbone che, penetrando attraverso i piccoli fori della carta, riproduceva i tratti del disegno sulla superficie del muro. A partire dall'inizio del Cinquecento, la carta utilizzata per il disegno preparatorio venne sostituita dal "cartone", che permetteva di fissare sull'intonaco i contorni della composizione evitando il procedimento dello spolvero. Poggiato il cartone sull'intonaco umido, con uno strumento a punta si esercitava una lieve pressione sui contorni del disegno che vi era rappresentato, in modo da lasciarne una traccia sulla parete sottostante. All'artista spettava quasi esclusivamente il compito di realizzare il disegno preparatorio, mentre l'esecuzione a fresco era lasciata alla mano degli aiuti.
Altra tecnica di pittura murale è quella denominata "a secco", che consiste nell'intervenire sulla parete asciutta con colori a calce o a tempera. Questo sistema, già presente nella cultura bizantina e romanica, è prevalentemente usato per completare e perfezionare le pitture a fresco. A differenza di queste ultime, che rimangono saldamente consolidate con il corpo della parete, le pitture a secco si caratterizzano per la loro maggiore fragilità.
I colori compatibli con la pittura a fresco

Non tutti i pigmenti possono essere usati ad affresco. La causticità della calce 'aggredisce' infatti taluni pigmenti e in alcuni casi ne altera completamente le caratteristiche cromatiche.
I pigmenti non compatibili con la calce vanno usati a secco, cioè mescolati con del legante organico e stesi sulla superficie muraria quando il processo di carbonatazione è completato.
Nella tabella che segue sono elencati i principali pigmenti utilizzabili nell'affresco, la tabella riporta altresì la composizione chimica e indicazione sulla stabilità alla luce e all'aria.

Principali pigmenti utilizzabili nell'affresco

Come riconosce un'affresco da una pittura a secco

Alcune semplici constatazioni possono essere di aiuto. Nel caso queste non fossero sufficienti si può ricorrere ad analisi di laboratorio.
Elementi da osservare:

  • Brillantezza e durata dei colori. Una tinta stesa ad affresco in genere risulta più brillante per la ricristallizzazione della calcite in superficie. Il velo di calcite è responsabile anche della buona durata che di solito hanno gli affreschi. Questi elementi, da soli, tuttavia non sono discriminanti.
  • Gamma cromatica limitata. Negli affreschi alcuni tipi di pigmento non possono essere usati perché a contatto con la calce si alterano. Solo una gamma piuttosto limitata di colori, quindi, può essere utilizzata negli affreschi. Questa è la ragione per la quale, laddove si voleva arricchire il dipinto con una varietà maggiore di colori, si prevedevano campiture da stendere 'a secco'.
  • Segni sulla superficie. In alcuni casi osservando una superficie dipinta con luce radente, si possono notare vere e proprie incisioni corrispondenti al disegno.
    Spesso in questi casi si è portati a dire erroneamente che si tratti di superficie dipinta 'ad affresco'. In realtà l’incisione è stata effettuata quando l’intonaco era ancora fresco, è possibile però che il colore, per le ragioni più diverse (economiche, di capacità tecnica, contingenze varie ecc.) sia stato steso successivamente «a secco». La mancanza di queste incisioni, d’altronde, non può portare a escludere una stesura ad affresco; ci sono infatti facciate colorate con una unica campitura di colore, che non necessitano quindi di tracce particolari, tinteggiate «ad affresco» o anche superfici dipinte in cui il pittore ha utilizzato sistemi diversi per avere una traccia sulla superficie del muro del dipinto da eseguire (es. spolvero). Più significativo per il riconoscimento della tecnica di stesura è il segno delle giornate presente solo nelle esecuzioni di affreschi.
  • Modalità di degrado. In presenza di una mancanza (per degrado) di tinta a secco si potrà osservare il fondo liscio dell’intonaco su cui la stessa è stata stesa. Nel caso di un affresco nel distacco e caduta di parti della coloritura vengono compresi pochi mm o decimi di mm di intonachino (questo perché la tinta ad affresco penetra in profondità). La superficie, osservata da vicino, quindi si presenterà rugosa e contemporaneamente sbiadita. Facendo scorrere sopra di essa un dito, molto facilmente si distaccheranno alcuni granuli.

LA CALCE NEL RESTAURO

Nell'ambito del recupero e restauro di manufatti antichi, l'impiego di leganti non compatibili con i materiali preesistenti rappresenta uno dei più importanti fattori di rischio per la salvaguardia nostro patrimonio storico-architettonico.
L'uso indiscriminato di leganti impropri, in particolare di tipo cementizio, per la formulazione di malte di allettamento, stuccatura e intonaco, a causa dell'incompatibilità chimico-fisica con i substrati tradizionali, rappresenta, a tutt'oggi, uno dei problemi principali problemi da affrontare nel restauro di un manufatto antico.
Dati sperimentali e ricerche scientifiche individuano nella calce il solo materiale veramente compatibile con la maggior parte delle opere architettoniche costruite dall'uomo dall'antichità fino agli inizi del Novecento.
Con questa consapevolezza, risulta a tutti evidente che, nell'opera di restauro, l'impiego della calce rappresenta il più delle volte scelta obbligata e conseguenza logica di un processo di sostituzione e integrazione di un materiale preesistente, che dovrebbe orientare ogni intervento.

Calce vs Cemento

La calce (calce aerea) e il cemento (Portand) sono leganti da costruzione tra loro molto diversi: ogni loro confronto risulterebbe superfluo se ciascun materiale trovasse impiego esclusivamente negli ambiti edilizi indicati alle proprie caratteristiche chimico-fisiche e meccaniche.
Così non avviene, e se è vero che l'architettura moderna e la maggior parte delle opere che vengono oggigiorno costruite non potrebbero esistere se non esistesse il cemento Portland e ormai riconosciuto che questo non dovrebbe, quasi mai, entrare nel restauro del patrimonio storico-artistico.
Nella realtà produttiva odierna dei leganti, la calce aerea e il cemento Portland non rappresentano che gli 'estremi' di uno spettro di prodotti assai ampio, che include, ad esempio le calci idrauliche naturali, molte delle quali compatibili e utilizzabili in buona parte degli interventi di restauro.
Ciò nonostante, a fronte di totale assenza di normative di riferimento e di scarsa attenzione da parte degli operatori, il cemento Portland è a tutt'oggi ampiamente utilizzato nei cantieri di restauro.

Calce o Cemento: vantaggi e svataggi

I principali vantaggi () e svantaggi () nelll'uso di calce rispetto al cemento, riferiti ad una malta da impiegarsi in un'opera di restauro, sono schematizzati nella tabella allegata.

INCOMPATIBILITA' TRA I MATERIALI DELL'EDILIZIA STORICA E IL CEMENTO
L'incompatibilità tra i materiali dell'edilizia storica e il Cemento Portland è determinata dalla presenza di compomenti potenzialmente pericolosi: si tratta in particolare delle fasi cristalline di alta temperatura (C3A, C4AF), degli alcali e del gesso aggiunto al cemento in fase di produzione come regolatore di presa.


QUALE CALCE IN UN OPERA DI RESTAURO?
La calce pura (calce aerea) e il moderno cemento tipo Portland si trovano ai due estremi di un ampio spettro di leganti, ciascuno con caratteristiche e peculiarità differenti.
E' all'interno di questa gamma che possiamo e dobbiamo trovare i materiali idonei al restauro di determinato edificio storico. Le varianti della calce (The Lime Spectrum) Testo di Ian Brocklebank

La comunità interessata al restauro architettonico è, da sempre, a conoscenza dell’importanza della calce nel recupero e nella conservazione di edifici storici, nonché del pericolo risultante da un uso eccessivo e improprio dei cementi. Questo spesso si traduce nell'opporre la calce, come materiale buono, al cemento, giudicato sempre e comunque un
cattivo materiale. In realtà, la calce pura (aerea) e il moderno cemento Portland si trovano ai due estremi di un ampio spettro di leganti ed è all'interno di questa gamma che possiamo trovare i materiali idonei al restauro di determinato edificio storico.

 

 

In fig. 1 è proposta una rappresentazione semplificata dello spettro di tipi di calce e di cementi disponibili nei secoli, basato sulle principali componenti chimiche, perché dalle loro diverse qualità e quantità dipendono le differenze tra i leganti.
La presa della calce (in grigio chiaro nel diagramma) avviene per la carbonatazione dell’idrossido di calcio (Ca(OH)2) a formare carbonato di calcio (CaCO3), tramite una lenta reazione con l’anidride carbonica presente in atmosfera.

Questa reazione avviene soltanto in presenza di acqua, per questo motivo è essenziale che la reticolazione sia lenta e che la malta, l’intonaco o lo stucco siano tenuti umidi per settimane in modo da consentire il completamento del processo.
E’ necessario mantenere un equilibrio nelle condizioni ambientali durante la carbonatazione perché se gli impasti si seccano troppo rapidamente la reazione si blocca; ugualmente avviene in presenza di un'eccessiva umidità, che
provoca la saturazione dei pori nel materiale e non permette all’anidride carbonica di reagire con la calce. Bisogna inoltre evitare di lavorare con la calce quando c'è pericolo di gelo.
Il materiale che fa presa per sola carbonatazione è la calce pura, chiamata calce aerea (sul lato sinistro dello spettro).

La calce aerea si trova in commercio sotto forma di pasta (grassello) o di polvere (calce idrata in polvere).
Questi materiali sono chimicamente quasi identici; la differenza sta nei diversi metodi di produzione che conferiscono loro diverse proprietà fisiche.
Il grassello è prodotto per spegnimento dell’ossido di calcio (calce viva o CaO) con un sovrappiù di acqua, la pasta che si ottiene viene lasciata maturare in seguito nel tempo; la calce idrata in polvere, viceversa, è prodotta (industrialmente) per idratazione ‘stechiometrica’ della calce viva, usando esattamente la quantità d'acqua che serve a
trasformare tutto CaO in Ca(OH)2.
Il processo di maturazione nel grassello permette una lenta trasformazione dei cristalli di Portlandite, tale da far aggiungere al prodotto le caratteristiche reologiche, di lavorabilità che contraddistinguono e fanno apprezzare un grassello di qualità, viceversa la calce idrata è un prodotto che non offre le stesse caratteristiche.
Questo non costituisce un problema quando la calce in polvere è mischiata con sabbia e cemento, in un cantiere edilizio moderno, mentre non dovrebbe venire utilizzata per lavori di finitura, intonaci e pitture, per i quali si raccomanda sempre il grassello.

Le calci idrauliche sono prodotti a partire da miscele di calcare con argilla, presente in modo naturale nei calcari impuri (si originano così le calci idrauliche naturali: NHL secondo la norma EN 459-1: 2001), o tramite un'aggiunta intenzionale di quantità misurate di argille a calcari puri prima del trattamento termico (HLs nello stesso standard). Le argille, attivate dal calore, si legano con l’acqua e la calce libera nella miscela producendo una presa principalmente basata sul calcio silicato. Questa reazione può accadere anche in assenza d’aria, come per esempio sott’acqua, da qui l’ origine al nome “calci idrauliche”. In genere, quanto è maggiore la quantità di argilla nel materiale originale, tanto maggiore sarà l’idraulicità risultante.

Nelle calci idrauliche, ci sono due principali tipi di componenti che conferiscono idraulicità, battezzati con fantasia dai chimici del cemento come “alite” e “belite”. L’alite (in grigio scuro nel diagramma) è composto principalmente da silicato tricalcico (C3S), mentre la belite (in grigio medio) è a base di silicato bicalcico (C2S).
In entrambi i casi sono presenti alluminati e altri prodotti chimici in quantità minori. Alite e Belite possono derivare dallo stesso materiale originale, la presenza dell’una e o del’altra fase dipende sopratutto dalla temperatura di cottura:
l’alite si forma solo sopra i 1260ºC, mentre la belite si forma tra i 950 e 1200ºC (che è la normale gamma di temperature impiegate per la calce). L’alite dà una presa più rapida rispetto alla belite, le calci idrauliche sono costituite perlopiù da belite mentre nei cementi predomina l’alite. Recentemente è stato messo in discussione se il prodotto commercialmente denominato “cemento belitico” non debba essere considerato e classificato come una calce
idraulica artificiale (HL nella EN 459-1), ma ciò potrebbe potenzialmente generare ancora più confusione.

Le calci idrauliche sono sempre di costituite di miscela di calce e belite che agiscono in parallelo. Si deve tenere conto di questa doppia presenza quando si usano questi materiali, assicurandosi che abbia luogo, inizialmente, la reazione idraulica (di cui responsabile è la belite) e successivamente la carbonatazione della calce, più lenta. Quando una calce idraulica contiene poca belite, gli impasti che se ne otterranno sono più lavorabili, fanno presa lentamente e con gradualità per dare un materiale finito molto permeabile e flessibile; una presenza più alta di belite determina
indurimento più veloce, a scapito della lavorabilità, permeabilità e flessibilità. La carbonatazione segue sempre la presa idraulica, con i suoi tempi naturali finché il materiale non raggiunga lo stadio finale di indurimento, per questo motivo l’attenzione verso le condizioni ambientali in cui avvengono in processi di presa e indurimento di una calce aerea e idraulica deve essere la stessa, anche utilizzando una calce marcatamente idraulica.

Il moderno cemento tipo Portland contiene ancora belite e calce, ma la velocità e la resistenza della presa dell’alite va praticamente ad annullare gli effetti di entrambi i processi di carbonatazione e idratazione più lenti e deboli rispetto a quello dell’alite appunto. Il Portland è molto adatto alla fabbricazione del calcestruzzo armato e per alcuni aspetti ‘tollera’ anche una lavorazione scadente, tuttavia non è stato ancora valutato se a lungo termine questo tipo di
cemento sia idoneo per la formulazione di malte nei lavori in muratura negli edifici di nuova costruzione, certamente il lavoro finito è inevitabilmente di qualità inferiore rispetto a quello che si otterrebbe con una calce. Per economia nella produzione, si tende a fabbricare il moderno Portland con una vasta gamma dimaterie prime: ciò fa entrare in gioco reazioni
chimiche complesse e a volte indesiderate. Per rallentare la velocità della presa naturale (che altrimenti potrebbe avvenire in pochi secondi) al cemento viene aggiunto gesso, con il risultato di ottenere un materiale non solo inutilmente duro, fragile ed impermeabile, ma anche carico di una notevole quantità di solfati solubili, che causano,
nel migliore dei casi, efflorescenza superficiale quando sono mobilizzati dall’acqua, e, nel caso peggiore, un severo degrado dei materiali (mattoni e pietre) adiacenti, ri-cristallizzandosi nei loro pori. Il problema dei sali solubili è sicura causa di insuccesso laddove il cemento Portland è usato nel restauro di murature storiche in laterizio. La maggior parte dei mattoni fabbricati oggigiorno hanno resistenze meccaniche alte e, in parte, possono reggere i danni provenienti dai sali dovuti al cemento, mentre i mattoni antichi cotti a temperature più basse, mal sopportano l’azione dei sali solubili.

L’idraulicità di un calce può essere indotta e/o aumentata anche attraverso l’impiego di pozzolane. Le pozzolane sono formate da silicati reattivi che aumentano l’idraulicità di una miscela legandosi con la calce libera durante il processo di indurimento per formare la belite (nel caso si usi polvere di mattoni macinata e terre vulcaniche naturali come quelle di Pozzuoli e il trass della Germania) e a volte anche l’alite (quando come pozzolane sono impiegate scorie d'altoforno granulate, cenere di carburante polverizzata, e materiali da alte temperature). Pertanto tutti i materiali contenenti una proporzione di calce libera cui è stata aggiunta pozzolana si possono spostare sulla destra del diagramma.

Il diagramma riporta anche la suddivisione delle calci fatta da Vicat (“debolmente idrauliche”, “moderatamente idrauliche” e “eminentemente idrauliche”) nel 1820, che si è rivelata pratica e appropriata alle finalità di questi materiali.

Questa classificazione è stata sostituita, a livello europeo, dalla già citata norma EN 459-1 del 2001, che classifica la calce naturale idraulica in NHL 2, 3.5 e 5.
Va osservato, tuttavia, che nuove queste suddivisioni non sono equivalenti a quelle proposte da Vicat. La classe moderna più debole (NHL2) è più vicina alla classe “moderatamente idraulica” di Vicat, mentre la NHL3.5 si accosta maggiormente alla classe “eminentemente idraulica”.
Le calci NHL5 possono raggiungere facilmente la resistenza di quelli che Vicat indicava come “cementi naturali”.
Come si può vedere dal diagramma, esiste nella classificazione della EN459-1 uno spazio vuoto, critico, tra calci aeree e la NHL2, dove prima era collocata la classe “debolmente idraulica” di Vicat. Ciò rappresenta un problema notevole, in
Inghilterra per esempio, poiché molte delle calci tenute in gran considerazione e ricercate nel passato sono state classificate secondo Vicat come “debolmente idrauliche”. La principale tra queste è forse la calce Dorking, proveniente dal calcare grigio del Surrey con cui è stata edificata gran parte della città di Londra, dal British Museum ai West India Docks, ma che è stata trasportata anche in zone molto più distanti.
Queste calci definite nel Regno Unito anche “calci magre” (al contrario di quelle “grasse”) costituiscono una categoria particolarmente interessante per le caratteristiche di lavorazione.
Mentre le calci idrauliche moderne sono prodotte in polvere (attraverso un processo di parziale idratazione), talvolta persino macinate come avviene per il cemento, le calci debolmente idrauliche erano tradizionalmente spente sul posto e usate subito, ed erano caratterizzate da un’ottima lavorabilità e una presa lenta, e per questo insieme di proprietà, molto apprezzate.
A Londra era normale spegnere le calci di venerdì per utilizzarle la settimana successiva.
Dispiace che la EN 459-1 non prevede questa classe di prodotti, non perché le calci suddette siano inutilizzabili, ma solo perché il test adottato per valutarne la resistenza alla compressione (frantumazione di un provino standard) deriva dai metodi per testare il cemento, e questi metodi si sono rivelati inaffidabili per una forza di pressione inferiore a 2N/mm2.
Negli ultimi anni si è diffusa l'abitudine di indicare le calci idrauliche NHL3.5 come la soluzione migliore per ogni situazione. Questo fatto è spesso sostenuto persino da organi ufficiali, di solito senza aver adeguatamente considerato le condizioni dell’edificio su cui si andrà ad intervenire. Le NHL3.5, offrono il vantaggio pratico di fornire un materiale di
facile uso per gli inesperti, dalla presa iniziale piuttosto rapida. Tuttavia, prima del 1870 circa, calci così resistenti erano piuttosto rare, e in ogni caso sarebbero state utilizzate in opere di ingegneria civile come ponti, tunnel, bacini
portuali, canali, ecc. piuttosto che in costruzioni in muratura e per intonacare gli edifici. Questo errore, frequente, si combina con un altro problema determinato della EN 459-1: la misura della resistenza alla compressione delle malte
viene misurata dopo soli 28 giorni. Ciò è legato alla chimica del cemento, dal momento che l’idratazione dell'alite è sostanzialmente completa dopo questo periodo. La belite, tuttavia, continuerà ad idratarsi (per altri 90 o più giorni), così che tutte le classi NHL di calce idraulica tendono a produrre malte finite molto più resistenti (e meno permeabili o flessibili) di quanto sia generalmente riconosciuto. Come conseguenza osserviamo che, nonostante il diffuso revival della calce, negli edifici storici si stanno ancora impiegando materiali con caratteristiche di resistenza meccanica
notevolmente maggiore rispetto a quelli originari, e le conseguenze di questo atteggiamento approssimativo sono ancora tutte da valutare.

In mancanza di calci debolmente idrauliche sul mercato, è possibile ottenere risultati simili aggiungendo alla NHL della calce aerea, anche se questo metodo è stato criticato dalla moratoria richiesta dall'English Heritage sull'uso di ‘malte bastarde’ di qualche anno fa. È fondamentale in questo caso sapere che parte di calce idraulica aggiunta si comporterà di fatto da inerte; pertanto una miscela calce aerea + NHL3.5 darà risultati simili a quelli che si otterrebbero con una miscela calce + NHL2. In entrambi i casi, comunque, possono sorgere dei problemi a causa di altre variabili, pertanto si raccomanda fortemente di fare delle prove specifiche. È invece auspicabile che ricompaia presto sul mercato calce debolmente idraulica, di buona qualità.

Come per le calci, esiste da tempo un'ampia gamma di differenti tipi di cemento caratterizzati da proporzioni variabili di alite, belite e altre componenti. Anche in questo caso, troviamo un altro ampio gap nello spettro delle calci e dei cementi disponibili, oggi non esiste un materiale tra la NHL5 e i moderni cementi portland, che si rivelerebbe particolarmente importante per la conservazione degli edifici del tardo diciannovesimo secolo e prima metà del
ventesimo, compresi quelli del primo movimento Modernista. In molti di questi edifici, il cemento fu usato come componente essenziale della costruzione e delle finiture, ma il materiale disponibile allora era molto diverso da quello che si trova in commercio oggigiorno.
Esistono pochi materiali equivalenti, si potrebbe usare una NHL5, forse con l'aggiunta di pozzolana, per avvicinarsi alla resistenza alla compressione dei cementi ante prima guerra mondiale, anche se non è facile ottenere proprietà simili all’originale, compreso l'aspetto e il comportamento a lungo termine. Potrebbero essere impiegate le calci da costruzione, che sono generalmente delle miscele ibride di cemento portland e di calce idraulica o idrata (di solito con l'aggiunta di altri additivi). L'uso di questi materiali oltre ad essere una tacita ammissione della relativa non idoneità del cemento portland per le murature, in mattoni o pietra, non ci da garanzie che una specifica miscela commerciale sia appropriata per unparticolare edificio storico e, in ogni caso, vi è poca varietà disponibile.

Un recente programma internazionale di ricerca finanziato dalla Comunità Europea, rappresentato nel Regno Unito dall'Università di Bradford, studia il “Roman Cement”, prodotto largamente utilizzato nel diciannovesimo secolo,
particolarmente in Gran Bretagna a partire da noduli di septaria che ricorrono nell'argilla londinese. Questo cemento naturale ha un aspetto distintivo molto marcato, dal colore rossastro, tendente al bruno, notoriamente difficile da riprodurre. Molto interessante è il tentativo previsto nel programma di riprendere la produzione di questo materiale. I “Roman Cement” erano caduti in disuso, infatti, quando si è cominciato ad utilizzare i cementi Portland dopo il 1870. Altri tipi di cemento naturale sono rimasti sul mercato britannico, soprattutto per esigenze dell'industria dell'acqua potabile per il basso contenuto di sostanze chimiche solubili e per la rapida presa. La maggior parte di questi sono malte premiscelate studiate specificatamente per la riparazione di strutture per il contenimento dell'acqua e sono poco usate nel restauro. Ciò non esclude, comunque, la possibilità che si possano sviluppare in futuro prodotti formulati in maniera appropriata.
In conclusione: contrapporre e chiedersi se la calce sia meglio del cemento, spesso, ci fa dimenticare la gran varietà di leganti utilizzabili nella conservazione degli edifici. Sarebbe meglio chiedersi: “quale calce o quale cemento?” I materiali usati nel passato, nelle varie epoche, possono trovare nei prodotti attuali idonei equivalenti, anche se permangono dei vuoti da riempire nella gamma complessiva. Questa disponibilità relativamente ampia di materiali pone gli addetti alla conservazione e al restauro degli edifici in una posizione di forza mai raggiunta prima, nonostante sia sempre necessario conoscere a fondo ciascuno di questi materiali per raggiungere risultati appropriati.
Anche se rimane molto lavoro da fare, c'è la speranza che in un futuro non lontano si possa avere a disposizione una gamma completa di calci e cementi, in modo da poter sempre scegliere e utilizzare il prodotto più appropriato alla conservazione e alla costruzione di un determinato edificio.

Articolo scritto da Ian Brocklebank - Presidente del Building Limes Forum, England
L'articolo è stato pubblicato la prima volta in “Context”, Journal of the Institute of Historic Building Conservation, nel 2006. Questa traduzione, a cura di Camilla Massara, è una versione revisionata, ed è stata autorizzata dall’autore ed esplicitamente ed integralmente tratta (come molte altre parti dell’ opera dal Forum Italiano Calce).

Postscritto: Dopo la pubblicazione di questo articolo, e in risposta alla proposta avanzata dai rappresentanti britannici, il comitato Euronorm ha accettato in linea di principio di sottoporre a una revisione la EN 459, per introdurre una classe più debole di calce naturale idraulica, provvisoriamente designata NHL 1. Al momento almeno un fabbricante Inglese avrebbe deciso di iniziare la produzione di un prodotto simile.

LA STORIA DELLA CALCE
L’importanza che i differenti materiali hanno avuto nello sviluppo della civiltà trova conferma nella storia dei leganti da costruzione.
I leganti, nel loro evolversi, hanno segnato il progresso compiuto dall’uomo nell’arte di costruire e di trovare riparo per se e le sue cose.
La calce, il cui impiego in architettura si è perpetuato per oltre 10.000 anni senza soluzione di continuità, ha contribuito più di ogni altro legante alla sviluppo del Patrimonio Culturale dell’Umanità.

Preistoria
Il primo materiale usato nelle costruzioni di cui si ha testimonianza è l’argilla.
Il suo utilizzo, risale alla Preistoria: l’uomo preistorico aveva empiricamente appreso che l’argilla impastata con acqua poteva fornire un materiale plastico, capace di aderire con altri materiali altrimenti sciolti e, essiccando, indurire mantenendoli legati. I primi leganti derivati da processi di calcinazione di pietre naturali, chiamati genericamente cementizi, sono il gesso e la calce aerea.
La loro scoperta fu probabilmente coeva e si può immaginare che abbia la stessa origine di quella della terracotta, essendo anch’essa legata alla scoperta del fuoco. Data la maggiore facilità nell’ottenere il gesso rispetto alla calce, per via della temperatura di cottura più bassa, è probabile che questo abbia trovato inizialmente una maggiore applicazione. E infatti, il primo esempio conosciuto di utilizzo sistematico di una reazione di cementazione in campo edile è legato all’impiego di gesso si tratta del supporto degli affreschi decorativi di Cata Huyuk in Asia Minore, risalente al 9000 a.C. . Il più antico manufatto rinvenuto realizzato con la calce a noi conosciuto è un calcestruzzo usato in una pavimentazione rinvenuta nel 1985 a Yiftah nella Galilea meridionale (Israele), datato al 7000 a.C. Questa pavimentazione, che si presenta molto compatta e con una superficie dura e levigata, è stata realizzata con calce e pietra e collocata su un basamento uniforme di argilla sabbiosa. Questa scoperta archeologica ha soppiantato il precedente rinvenimento, un terrazzamento di 25 cm di spessore in calcestruzzo di calce grassa rinvenuto a Lepenac Vir, in Serbia, risalente al 5600 a.C.

Egizi
Un murale, rinvenuto a Tebe e risalente al 1950 a.C. , mostra invece un primo esempio di malta e conglomerato a base di calce in Egitto. La scoperta di un legante a comportamento idraulico, atto cioè a far presa ed indurire anche in ambiente subacqueo, si fa risalire ai Fenici. Come è noto essi ebbero una civiltà molto avanzata ed agli stessi si attribuiscono varie invenzioni come la fusione dei metalli, il primo alfabeto ecc. Ai fenici si attribuisce la preparazione di malte confezionate con calce aerea e sabbia vulcanica delle Cicladi. Cisterne per acqua, intonacate con malte idrauliche, sono state rinvenute a Gelusalemme e si fanno risalire al regno di Salomone (X Sec. a.C.) e alla mano di operai fenici.

Greci
I Greci usarono ampiamente leganti a base di calce; la conoscenza della tecnologia di produzione e del loro impiego pervenne loro dalla Civiltà cretese-minoica e successivamente passò agli Etruschi e ai Romani. Alcune opere greche del tempo di Erotodo (circa 450-500 a.C.), come l’acquedotto di Argos in conglomerato di marmo e calce, dimostrano come tale legante fosse allora abbastanza comune.

Romani
A Roma, l’impiego di un conglomerato calce-pietre trova prima documentazione nel 300 a.C. con le opere di Appio Claudio Cieco: l’acquedotto Appio e la Via Appia. I Romani migliorarono notevolmente la tecnologia di produzione della calce aerea, cocendo calcari di buona qualità e spegnendo accuratamente la calce viva risultante che, successivamente, veniva mescolata con sabbia pulita. Essi conoscevano solo la calce aerea, cioè quella capace di fare presa a contatto con l’aria, mentre era sconosciuta la calce idraulica, in grado di fare presa anche sott’acqua. I Romani erano tuttavia in grado di ottenere malte idrauliche aggiungendo all’impasto la pozzolana. Come i Greci e i Fenici prima di loro, anch’essi non ignoravano che alcuni depositi vulcanici, quando venivano macinati e mescolati con sabbia e calce aerea, forniscono una malta che presenta non solo caratteristiche di resistenza meccanica superiori a quelle ottenibili con la sola calce, ma anche la proprietà di resistere all’azione sia dell’acqua dolce sia di quella marina. Per formulare le malte idrauliche i Romani impiegarono principalmente tufi vulcanici rossi o purpurei, rinvenuti in vari punti della zona della baia di Napoli. Poiché la migliore di queste terre proveniva dalle vicinanze di Pozzuoli, il materiale prese il nome di ‘pozzolana’ (dal latino pulvis puteolana). I Romani sfruttarono anche depositi di pozzolana naturale già noti ai Greci, sull’isola di Santos, oppure la terra vulcanica, di colore scuro, dell’isola di Thera , e, più tardi, i depositi di trass renano, un tufo vulcanico della Germania meridionale. Ne deriva che il principale legante del periodo Romano è stato di fatto il ‘calcestuzzo’ una malta ottenuta con grassello di calce, sabbie, cocciopesto, sabbie pozzolaniche, cocci di mattone cotto, nelle sue diverse varianti. Oggi ben conosciamo le ragioni ti tale scelta: la straordinaria capacità di aderenza che si determina all’interfaccia tra il materiale pozzolanico, naturale e artificiale, e la calce. Dunque, in caso d’indisponibilità di terra vulcanica, i Romani usavano tegole, mattoni o terraglie cotte, frantumate o macinate, dagli effetti similmente idraulici. Questa pratica probabilmente precede nel tempo l’uso di materiali vulcanici: vi sono prove che attestano nella Civiltà minoica di Creta (circa 1700 a.C.) l’uso di aggiungere residui di recipienti frantumati alle malte di calce per migliorarne la resistenza meccanica, l’impermeabilità e la durabilità.
La divulgazione della tecnologia dei Romani fu agevolata dalla pubblicazione attorno al 13 a.C. del ‘De architectura’, opera dell’architetto e ingegnere Marco Vitruvio Pollione. Tale opera costituisce una fonte di informazioni estremamente dettagliata per quel che riguarda modalità di costruzione romane, ed è considerata de facto il primo esempio al mondo di normativa industriale.
Nel capitolo V, Vitruvio discorre sulla calce (calx) dando testimonianza di una conoscenza necessariamente empirica, ma certamente valida: ‘Avendo spiegato i diversi generi dell’arena si dee porre in opera tutta la diligenza intorno alla calce, affinché sia cotta di pietra bianca o di selce (ndA: significa solo pietra dura); e quella che sarà di pietra più compatta e più dura sarà utile nella fabbricazione, quella di pietra porosa nell’intonaco. Quando la calce sarà estinta, allora si mescoli alla materia in guisa, che se l’arena sia fossile (di cava), si confondano tre parti di questa ed una di calce. Se sarà fluviale o marina, una di queste con due di arena; e così ci sarà giusta proporzione nel miscuglio. E se nella fluviale o marina si aggiungerà una terza parte di mattone pesto e vagliato, ciò formerà la composizione della materia ancora migliore per l’uso’. Le conoscenze dei Romani sulla preparazione delle malte si estesero fin nelle Regioni più lontane dell’Impero, come dimostra la qualità delle murature scoperte in Inghilterra, che è uguale a quella di analoghe strutture trovate a Roma.

Medioevo
Con la caduta dell’Impero si perdono molte delle capacità produttive fino allora acquisite, ma la produzione e l’utilizzo della calce sono ancora attestate sia da prove archeologiche sia da fonti scritte. Durante il Medio Evo molte delle avvertenze costruttive dei forni prima descritte vennero trascurate e si ritornò quasi ovunque alla fornace di campagna di tipo verticale, priva di rivestimento in mattoni, che genera molto ‘incotto’, ossia pietra non calcinata, affondata nel suolo in zone adatte a utilizzare due livelli di carico, quello della pietra sopra e quello della legna e di scarico della calce sotto, oppure ancora alla fornace inclinata. In generale comunque si assiste ad un graduale declino del livello qualitativo delle malte di calce usate in campo edile, che perdurò per tutto il Medioevo. Nella formulazione delle malte furono sempre più impiegate sabbie sporche e inquinate da argilla, si abbandonò l’uso della pozzolana vulcanica e del cocciopesto e, infine, si trascurò la tecnica di costipare adeguatamente le malte e i calcestruzzi confezionati con poca acqua. La conseguenza della rudimentalità di molte di queste fornaci fu un generale decadimento della qualità della calce. Solo più tardi, nel XIV secolo, con l’adozione di fornaci ancora intermittenti ma in muratura e a legna, e nel XVIII secolo, a griglia con carbone, si poté ritornare ai successi qualitativi dell’epoca romana. In Inghilterra, il declino caratterizza il periodo dei Sassoni e dei Normanni (circa 450-1150 d.C.) come chiaramente è dimostrato dalle costruzioni di quell’epoca, spesso caratterizzate dalla presenza di malte di erronea composizione e non di rado prodotte con calci mal cotte. In un’opera di Eugène Emmanul Viollet-le-Duc, avente per tema l’esame degli edifici costruiti in Francia, l’Autore giunge alla conclusione che nel corso dei IX, X e XI secolo, si era quasi completamente persa l’arte di cuocere la calce, in quanto nella messa in opera veniva normalmente impiegata calce contenente grumi mal cotti, senza l’aggiunta di terracotta macinata. Dal XII secolo, la qualità della calce, cotta in modo migliore e ben setacciata, riprese a progredire. Dopo il XIV secolo la situazione migliorò ulteriormente, infatti sono state rinvenute malte eccellenti in cui, all’atto del loro confezionamento, si era presa la precauzione di lavare la sabbia, privandola dei contenuti di terra e argilla. Il fenomeno si può assegnare anche al risveglio umanistico, che portò a tradurre e a leggere opere latine, tra le quali quelle di Vitruvio e Plinio, testi questi che permisero di condurre più correttamente anche la fabbricazione e l’impiego della calce. Ulteriori miglioramenti si ebbero nei secoli seguenti, e specialmente nel XVII e XVIII, in relazione alle diverse novità introdotte nella tecnologia di fabbricazione della calce, con la sostituzione della legna con il carbone per la cottura e la scoperta di nuove fonti di materiali a comportamento pozzolanico per la confezione delle malte idrauliche. In ogni caso nel corso di questi secoli il livello qualitativo generale si mantenne molto variabile e gli standard raggiunti ai tempi dei Romani non vennero, normalmente, più conseguiti.

Ottocento
I metodi dei Romani furono ripresi e fatti rivivere in Francia al tempo dei grandi lavori idraulici eseguiti nella Reggia di Versailles nel XVIII secolo, in particolare da Loriot, De la Faye, Faujas de Saint-Fond e, soprattutto, da Rondelet. Loriot, in una memoria del 1774, riferisce di: ‘Aver scoperto e dimostrato il semplice procedimento usato dai Romani per conferire alle loro costruzioni quella stabilità che testimoniano ancora, con la loro durata: la perfetta composizione della malte impiegate’. Jean Rondelet pubblicò nel 1805 il più autorevole lavoro su questo argomento, il Trattato dell’Arte di Edificare. Egli esaminò attentamente le costruzioni del tempo dei Romani e intraprese numerosi esperimenti per concludere che l’eccellenza delle loro malte da costruzione non dipendeva da qualche segreto nello spegnimento o nella composizione della calce (riferendosi ancora alla calce aerea), ma dall’estrema cura usata nella miscelazione dell’impasto e nel suo costipamento. Nello stesso periodo in Gran Bretagna, paese con ampio sviluppo di coste, si comincia ad avvertire l‘esigenza di produrre leganti idonei a realizzare costruzioni anche in ambiente marino. Nel 1750 John Smeaton riceve l’incarico di ricostruire il faro di Eddyston, davanti a Plymout e realizza con originalità la struttura, facendo uso di moduli lapidei incastrati a coda di rondine impiegando come malta di allettamento calce e trass olandese. Smeaton scoprì, fortuitamente, che la cottura del calcare contenente impurità argillose produceva un tipo di calce (calce idraulica) con caratteristiche analoghe a quelle della miscela calce-pozzolana, con il vantaggio, tuttavia, di non dover usare la pozzolana non disponibile ovunque. Una volta capito che il meccanismo di reazione della calce idraulica era legato alla presenza di impurità argillose, cominciarono le sperimentazioni nella cottura di miscele artificiali di calcare ed argilla. Nel 1796 James Parker brevettò uno speciale tipo di cemento naturale idraulico, detto cemento romano, ottenuto per calcinazione di noduli di calcare contaminati da argilla (septaria). Lo stesso processo fu usato in Francia nel 1802. Nel 1812, il francese Luis Vicat preparò una calce idraulica artificiale calcinando miscele artificiali di calcare e creta. Vicat fa la prima distinzione fra la calce idraulica naturale e artificiale: la prima ottenibile per cottura di calcari argillosi, la seconda di miscele di calcare e argilla. Vicat fa anche la prima distinzione tra calce idraulica e cemento: qualunque prodotto messo in opera previo spegnimento deve denominarsi calce idraulica, se senza spegnimento cemento. Nel 1822 James Frost completò la "ricetta" con del materiale calcareo frantumato. Bisogna aspettare il 1824 perché un muratore inglese, Joseph Aspdin, arrivasse a perfezionare il processi di selezione dei calcari e fino a raggiungere quel livello di qualità e di resistenza tramandato fino ai giorni nostri. E' da ascrivere alla creatività di Aspdin la scoperta del Cemento Portland, così chiamato perché la massa ottenuta assomigliava alla roccia dell'isola di Portland. Aspdin mescolò, studiandone attentamente le proporzioni, calcare e argilla che, cotti in un forno simile a quello usato per la calce, fornirono un legante (in realtà ancora una calce idraulica) con caratteristiche superiori agli altri fino ad allora sperimentati. L’impulso decisivo allo sviluppo dei leganti idraulici è stato innescato dall’intuizione di Isaac Charles Johnson che nel 1845 riuscì a produrre un legante dalle caratteristiche paragonabili all’odierno cemento Portland, portando la materia prima fino ad incipiente vetrificazione. Veniva utilizzato a tal fine un particolare forno a fuoco intermittente (chiamato forno Johnson) per compiere il salto di qualità dagli 850-900°C, sufficienti per ottenere la calce idraulica (alla quale era assimilabile il “cemento” chiamato Portland da Aspdin), ai circa 1450-1500°C necessari per produrre il vero clinker di cemento.

Novecento
In Italia, fu solo negli anni Ottanta del XIX secolo che si andò consolidando, con un ritardo di oltre quarant’anni rispetto agli altri Paesi europei più avanzati, la conoscenza tecnologica approfondita per produrre calci idrauliche. I primi forni per produrre tali leganti erano impianti verticali conformati a bottiglia o a tronco di cono (come il primo stabilimento eretto da Aspdin nel Kent), con temperature di cottura dell’ordine di 850-900°C e con notevoli dispersioni termiche. Progressivamente è stata introdotta una serie di innovazioni tecnologiche, consistenti nell’impiego di combustibile ad alto potere calorifico (carbone e poi derivati del petrolio) in sostituzione della tradizionale risorsa costituita dal legname e nell’adeguamento dell’involucro del forno alle maggiori temperature di combustione con il raddoppio delle pareti, che ha portato anche nel nostro paese al passaggio di produzione da calci idrauliche e cementi. Il cemento si attesta come l’unico e incontrastato legante da costruzione per buona parte del Novecento La crisi petrolifera degli anni ’70 sottolinea, forse per la prima volta, la fragilità del Portland, perlomeno dal punto di energetico, per via dell’enorme quantità di risorse necessarie alla sua produzione. Poi dal 2000, parole come ‘Sostenibilità ambientale’ ‘Architettura Ecologica,’ e ‘Conservazione del Patrimonio Culturale’ diventano temi centrali delle agende economiche e politiche dei paesi più sviluppati: la calce si ripresenta come una delle possibili soluzioni a questi problemi.

La calce, in virtù della minore richiesta di energia in produzione, della salubrità impartita agli edifici e della completa compatibilità con il costruito storico, si propone a noi, oggi, come il legante da costruzione del terzo millennio, con quella ‘freschezza’ e ‘capacità di stupire’ che solo un materiale straordinario può vantare, dopo secoli di duro e infaticabile lavoro.



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