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LA CALCE IN ARCHITETTURA
La calce rappresenta, per antonomasia, il mestiere e l'arte dell'edificare. La calce trova impiego nella realizzazione degli edifici nelle malte da muratura, allettamento, stuccatura, negli intonaci interni ed esterni, nei calcestruzzi per fondazioni, murature a sacco ecc.
La calce è impiegata altresì nelle finiture architettoniche, negli stucchi e marmorini, così come nelle tinte murali e negli affreschi. La totale compatibilità con tutti i materiali costruttivi, pietra, laterizio, legno, terra cruda ecc. ne fanno il più apprezzato e valido legante di ogni epoca e civiltà, e da preferirsi a ogni altro nelle opere di restauro.

Malte
La malta è una miscela di leganti inorganici, aggregati prevalentemente fini, acqua ed eventuali altri componenti (organici e/o inorganici), in proporzioni tali da conferire all'impasto opportuna lavorabilità e adeguate caratteristiche fisico-meccaniche una volta compiuti i processi di presa e indurimento. La malta è una miscela in proporzioni variabili di legante, aggregato ed acqua, per ottenere un impasto plastico che ha capacità di indurire in un tempo più o meno lungo a seconda della sostanza adoperata come legante. L'aggregato ha il compito di aumentare il volume dell'impasto, di facilitare il passaggio dell'anidride carbonica necessaria per una buona presa o indurimento e di impedirne il ritiro volumetrico con conseguente formazione di cavillature.
Il legante, per trasformazione fisica e per reazione chimica, provoca l'unione delle particelle dell'aggregato altrimenti incoerenti. Le malte vengono classificate sulla base della tipologia d'impiego in: malte per murature (di allettamento, di riempimento, ecc.); malte per intonaci; malte per decorazioni (a spessore, a rilievo, ecc.); malte per usi particolari (stuccature, sigillature, stilature, ecc.); malte per applicazione rivestimenti (pavimentazioni, pareti, ecc.).

Malte di calce: aeree o idrauliche?

La distinzione tra le diverse malte può essere basata anche sulla natura dell'impasto, che si definisce 'aereo' o 'idraulico', in relazione alla capacità di indurire in presenza di aria (malte aeree) ovvero anche in presenza di acqua (malte idrauliche). Impiegando la calce aerea o calce idraulica come leganti nella formulazione di una malta si potranno ottenere tre tipi fondamentali di impasti.

Malte ordinarie (aeree)
Sono malte che fanno presa ed induriscono solo in presenza di aria (anidride carbonica). Sono miscele di calce arera (calce idrata in polvere o grassello di calce) e aggregati (non pozzolanici) e acqua. In relazione all'impiego e alla tessitura e al colore desiderato, gli aggregati potranno essere sabbie di diversa granulometria e natura, frammenti e polvere di materiali litoidi quali marmo, calcari, ecc. Anche se è ormai dimostrato che un aggregato non ha un comportamento 'inerte' rispetto alla malta, in questo tipo di malte non sono impiegati materiali a comportamento pozzolanico e l'indurimento dell'impasto avviene solo per processi di carbontazione della calce.

La calce aerea trasferisce ad una malta le seguenti proprietà:

  • plasticità e lavorabilità
  • promuove forze di legame
  • fornisce alta ritenzione d'acqua
  • maggiore flessibilità e resilienza sotto stress
  • scarsa tendenza a formare efflorescenze
  • grande traspirabilità, che permette all'umidità interna di evaporare facilmente.


Malte idrauliche (di calce aerea)
Le malte a base di calce aerea realizzate (calce idrata in polvere, calce idrata in pasta o grassello di calce) possono essere rese idrauliche aggiungendo, al momento dell'impasto, frazioni di pozzolana o meglio di materiali pozzolanici*.
I materiali a comportamento pozzolanico sono sostanze naturali o sottoprodotti industriali che hanno una struttura amorfa o parzialmente cristallina e sono composti di silice, o di silico-alluminati o da una combinazione di questi.
Le sole pozzolane non induriscono una volta messa a contatto con acqua, ma se vengono finemente macinate possono reagire con l'idrossido di calcio, in presenza di acqua e a temperatura ambiente, e formare silicati del calcio idrati. Le malte idrauliche d calce aerea sono di particolare importanza storica essendo state utilizzata dai Romani in grandi opere che si sono ottimamente conservate fino ai nostri giorni.
Nelle migliori condizioni di realizzazione per quanto riguarda la composizione,costipazione e maturazione, la resistenza a compressione di una malta ottenuta con calce e pozzolana può variare tra 3 e a 9 MPa, nettamente superiori a quelli di una malta ottenuta con calce aerea.
Ulteriori proprietà degli impasti di calce e pozzolana rispetto alle malte ordinarie sono le seguenti:

  • maggiore resistenza meccanica
  • minore permeabilità all'acqua
  • maggiore durabilità in ambiente esterno.

*La pozzolana, inizialmente estratta dalle cave di Pozzuoli, è un prodotto di origine vulcanica costituito prevalentemente da silicati idrati di allumina, da silice al 70%, ossido di ferro, potassio, sodio e magnesio. Hanno natura acida e reagiscono con l’ossido di calcio per dare silicati amorfi.
L'argilla cotta (cocciopesto), inerte usata fin dall’antichità, è un'argilla composta da silicato di alluminio cotto e frantumato. Si può considerare una pozzolana artificiale e veniva usata sin dall' Antichità per realizzare interventi in presenza di acqua (acquedotti, fogne, porti ecc) e come impermeabilizzante di coperture.

Malte idrauliche (di calce idraulica naturale)
L'impiego di malte idrauliche risale all'Antichità, ma fino al XVII secolo non si ha notizia che siano state impiegate altre malte idrauliche se non quelle appena ciatate, a calce e pozzolana.
Le malte idrauliche di calce idraulica si realizzano appunto con calce idraulica naturale e aggregato, non necessariamente a comportamento pozzolanico.
Troppo spesso le malte idrauliche più comuni sono quelle ottenute aggiungendo alla calce idraulica una percentuale variabile di cemento: consuetudine deprecabile sopratutto negli interventi di restauro.

Normativa

Per orientarsi nel panorama normativo sulle malte, è necessario fare riferimento alla Norma armonizzata europea UNI EN 998-1- Specifiche per malte per opere murarie - Malte per intonaci interni ed esterni, secondo la Direttiva Europea 89/106 CEE-Marcatura CE dei prodotti da costruzione. La UNI EN 998-1, in vigore dal 1 febbraio 2005, classifica le malte in base al concetto come malte a prestazione garantita o malte a composizione prescritta; in base alla modalità di produzione come malte prodotte in fabbrica, malte semifinite prodotte in fabbrica o malte prodotte in cantiere e, ancora, in base alle proprietà e/o all’utilizzo. Nella norma vengono definiti i requisiti che devono avere le malte indurite e le malte fresche.
Precauzioni d'uso: Tutte le calci hanno carattere alcalino ed a contatto con acqua sviluppano pH molto elevati (pH>12).
Le malte di calce sono fortemente irritanti per la pelle e gli occhi e le polveri anche per le vie respiratorie, impiegandole è quindi indispensabile a adottare le dovute attenzioni e appropriati mezzi di protezione personale.

Intonaci
La malta prende il nome di “intonaco" quando è impiegata a formare una struttura stratificata di rivestimento di una muratura.Intonaco è il termine usato in architettura per indicare la parte più esterna del rivestimento superficiale delle strutture verticali. L’uso di rifinire le superfici murarie con intonaci di calce e sabbia ha origini antichisime, è attestato con certezza in alcune città dell’antica Grecia: a Delo si sono riscontrate pareti rivestite da due, tre, quattro e talora cinque stesure.
In epoca romana, dei rivestimenti parietali parla diffusamente Vitruvio che raccomanda l’uso di ben sette strati. Più in generale, con tutte le varianti tecniche finalizzate ai diversi usi, per tutti i lunghi secoli della storia, l’uomo ha protetto e rifinito i muri degli edifici con intonaci capaci di resistere per centenni, se non millenni.
Purtroppo oggi, non esiste alcuna continuità tra le tecniche di intonacatura storiche, sia sul piano materiale sia tecnologico: la calce, legante privilegiato di tutti tipi di intonaco, è stata man mano sostituita dal cemento, a scapito della qualità estetica e delle esigenze di traspirabilità della massa muraria. Ciò ha portato anche all'abbandono pressoché totale anche delle più diffuse tecniche di finitura a calce (tinte, affresco, ecc.).

Gli intonaci e la calce
Gli intonaci, come le malte, si distinguono in base al legante usato: l'intonaco a base di calce, definisce un impasto dove l'unico legante è la calce, aerea e/o idraulica.Dopo quasi un secolo di oblio, durante il quale sono stati compiuti danni non indifferenti alle costruzioni, viene rivalutato l’uso della calce come legante principale da utilizzare per gli intonaci. I pregiudizi, infondati, secondo cui la calce non sarebbe solida e resistente quanto il cemento perdono oggi di importanza e gli intonaci a calce vengono sempre più considerati migliori sotto diversi aspetti e in assoluto i soli compatibili con i materiali edilizi tradizionali e antichi (laterizio, pietra, ecc.).
Gli intonaci a calce hanno inoltre come prerogativa quella della traspirabilità, che favorisce l'allontamento dell'acqua contenuta nelle murature contribuendo alla conservazione degli edifici e al benessere abitativo.

Esecuzione dell'intonaco
Secondo la tipologia della struttura muraria, l'intonaco a base di calce può essere costituito da una o più stesure.
In caso di supporti tradizionali, come pietra, mattone o misti (mattone e pietra) si applicano, preferibilmente a mano, tre strati, di cui il primo con funzione di aggrappaggio (rinzaffo), il secondo per realizzare l'opportuno spessore (arriccio), e il terzo per la finitura (stabilitura).

Rinfazzo
Il rinzaffo, fatto con inerti a granulometria più grossa e con elevato dosaggio di legante, regolarizza il supporto e lo prepara in modo da assicurare buona aderenza agli strati successivi. La malta viene gettata a cazzuola, e con forza, contro la parete. Lo spessore dipende dagli avvallamenti e dalla disomogeneità della superficie: in quei punti dove è elevato si inseriscono frammenti di mattoni.

Arriccio
Appena il rinzaffo sarà perfettamente asciutto, si stenderà lo strato di arriccio che deve compenetrare nella scabrosità del rinzaffo, in modo che la muratura risulti perfettamente piana ed uniforme, senza ondulazioni. Nell'arricio, con prevalenti funzioni di tenuta e di impermeabilità, il minore dosaggio di leganti consente di limitare il ritiro. E' costituito da una parte di calce e due-tre parti di sabbia di granulometria media. È importante non avere eccesso d'acqua nella malta, per evitare ritiro in fase di presa e l'insorgere di cavillature. Lo spessore dell'arriccio è in relazione alla presenza di sconnettiture del muro di supporto: in genere non deve essere mai inferiore al mezzo centimetro. La superficie dovrà essere finita a frattazzo in legno così che l'intonaco si presenti con grana fissa e senza saldature, sbavature od altro difetto.

Stabilitura
La stesura della finitura finale, la stabilitura, ha funzione estetica. Lo stato è costituito da una malta ottenuta con sabbia a grana fine, il suo spessore può raggiungere il mezzo centimetro, anche se in genere inferiore, soprattutto se la malta è ricca di calce. La finitura deve essere data possibilmente sul corpo dell'arriccio ancora piuttosto fresco, così da creare uno stabile collegamento.

Precauzioni
A fine realizzazione è necessaria una accurata bagnatura della parete, per evitare che il supporto assorba l'acqua di impasto dell'intonaco, con rischio di distacco ovvero, più spesso, con formazione di crepe da ritiro per eccessiva rapidità di asciugatura.
Oltre alla bagnatura, indispensabile, sono particolarmente importanti le condizioni ambientali al momento dell'intonacatura: pareti eccessivamente calde, soleggiate o battute dal vento e bassa umidità relativa dell'aria (il ritiro aumenta sensibilmente al diminuire dell'umidità ambiente) non sono certo condizioni ideali per eseguire buone intonacature.

Queste cure devono essere applicate anche e soprattutto alle pareti realizzate in supporti molto porosi. Se poi un intonaco, anche applicato secondo ogni magistero, viene tinteggiato prima che abbia completato la sua naturale maturazione e quindi esaurita tutta la fase di ritiro e di buona parte del ritiro di indurimento, le microcavillature, prevedibili in funzione della natura stessa dell'impasto, compariranno inevitabilmente sulla superficie tinteggiata.
Per contenere le cavillature sugli intonaci è necessario:

  1. costruire la muratura con giunti di malta verticali e orizzontali ben costipati, senza vuoti o rientranze rispetto ai blocchi;
  2. bagnare il muro prima delle operazioni di intonacatura;
  3. porre particolare attenzione alle condizioni termo-igrometriche evitando di operare con temperature troppo elevate, vento, umidità ambiente troppo bassa (le condizioni ideali sono quelle comprese fra i 5 e i 20 °C, con Ur pari al 50% circa);
  4. realizzare l'intonaco almeno a tre strati;
  5. consentire la maturazione dello strato di rinzaffo prima di posare lo strato di corpo e finitura;
  6. bagnare l'intonaco per qualche giorno;
  7. tinteggiare solo a indurimento avvenuto. Attendere almeno 20 giorni prima di applicare la pittura calce sulla superficie preventivamente inumidita se si opera in giornate particolarmente calde e ventilate.

Graffito o sgraffito
Il graffito è un intonaco costituito da due strati di colori differenti. Incidendo il primo strato ed asportandolo secondo lo schema decorativo previsto, compare quello sottostante di colore diverso.
Le decorazioni a graffito si ottengono coll’applicare al rinzaffo di calce rustica lasciato convenientemente essicare, uno strato di pochi millimetri di calce mista al colore generalmente scuro che si vuole avere per fondo. Su questo strato bene spianato, si stende con un pennello una tinta di latte di calce uguale a quella quasi bianca che deve avere tutto
il muro di facciata; poi con una una punta d'acciaio si toglie la tinta, in modo da scoprire il fondooscuro secondo il disegno che si vuole avere, e che sarà prima stato tracciato.

Calcestruzzi
Il termine calcestruzzo che è generalmente associato ad un materiale da costruzione moderno, include in realtà anche materiali compositi a base di calce aerea, largamente utilizzati nell'antichità. Calcestruzzo deriva dal latino calcis structio, che significa struttura composta da calce.
Solamente dopo il XVIII sec. sono chiamati in questo modo tutti i conglomerati artificiali costituiti dall'impasto tra un legante, acqua, sabbia e frammenti di pietra di varia dimensione.
Già nel 300 a.C. i romani realizzarono un conglomerato calce-pietra con straordinarie caratteristiche meccaniche.
Vitruvio nel “De Architectura” parla del calcestruzzo (opus ceamenticium) composto di pezzi di tufo, pozzolana e calce (il Pantheon a Roma è stato realizzato con questo materiale).

La differenza tra il moderno calcestruzzo e il opus ceamenticium sta pertanto non tanto nel metodo di posa ma nel tipo di legante utilizzato: oggi si usa il cemento, mentre in passato la calce aerea e la pozzolana. Il calcestruzzo formulato con la calce viene utilizzato in tutte le epoche grazie alla notevole riduzione dei costi del legante ottenuta tramite l'aumento del volume dell'impasto mediante l'inserimento di uno scheletro grossolano che ne migliora anche la resistenza meccanica.

Stucchi e marmorini

Stucchi: Anticamente quando si parlava di 'stucco' si intendeva un impasto a base di calce e di polvere di pietra o di marmo, capace di fornire un impasto modellabile e colorabile in opera prima del suo indurimento.
Oggi, comunemente ed erroneamente, con stucco ci si riferisce indistintamente sia allo stucco a base di calce sia a quello a base di gesso, ma le due forme che ne scaturiscono sono tra loro assai differenti sia negli aspetti tecnici che in quelli estetici.
In passato, con il vocabolo stucco s'intendeva esclusivamente un composto a base di calce spenta, mentre lo stucco a base gesso, prodotto tipicamente industriale dell'edilizia moderna, prende il grande sopravvento durante il XIX secolo, per ragioni principalmente economiche, di velocità e di semplicità di applicazione.
Lo stucco a calce veniva lavorato in "opera" prima che indurisse, il gesso si presta a lavorazioni a banco o a stampi e di conseguenza più adatto al processo di industrializzazione.

Marmorini: Anche “Marmorino” è un termine dal significato complesso che si presta ad essere sovente equivocato, e cheinclude numerose accezioni che sono testimonianza di una innumerevole serie di variazioni nel corso della storia.
E' chiamata 'marmorino' la malta preparata con calce spenta (grassello) mescolata a polvere di marmo e utilizzata come stucco e/o come intonaco.
Marmorino è pertanto sinonimo di stucco, quando l'impasto è trattato in modo da imitare la consistenza e la brillantezza di superfici in marmo.
Mentre marmorino può essere riferito ad un particolare tipo di intonaco (intonaco marmorato) quando è applicato come strato di finitura, composto da un impasto di grassello e polvere di marmo, ed eventualmente lucidato.
La tecnica di intonaco a marmorino è descritta nel Dizionario Tecnico del 1884: "Intonaco marorato. Gli antichi romani facevano un intonaco colorito, e lo davano in sei distinte mani che tutte insieme non oltrepassavano la grossezza di circa 27 millimetri: le prime tre erano di calce e sabbia, o rena comune, e rispondevano agl'intonachi ordinari presentemente in uso: le altre tre mani si davano con una pasta di calce e polvere di marmo: l'ultima mano era battuta con mestola di legno e quindi arrotata con marmo per fargli prendere un pulimento matto, ossia senza lustro. Su questo intonaco si davano i colori, che si mantenevano brillanti strofinandoli con cera strutta nell'olio purissimo e data a caldo. Quando era raffreddata, si faceva struggere di nuovo, avvicinando al muro un caldano e si lasciava che l'intonaco se ne imbevesse a saturazione".

L’impiego del marmorino per le finiture degli edifici era conosciuto già al tempo dei Romani, Vitruvio ne parla infatti nel I° secolo a.C. nella sua opera “De Architectura”; a quel tempo veniva usato in spesse e multiple stratificazioni che arrivavano anche a dieci centimetri, ottenendo così una superficie liscia, compatta e piana. Talvolta i primi strati erano costituiti da calce e coccio pesto che, essendo poroso, era in grado di assorbire una maggiore quantità di sali solubili nelle murature umide. Ovviamente simili realizzazioni imponevano l’impiego di una grande quantità di manodopera, oltre che una mirabile organizzazione del lavoro, perché necessitavano di una lavorazione particolarmente energica sia per fare compattare l’inerte sia per fare trasudare l’acqua dell’impasto sulla superficie.
Nel medioevo l’intonaco con polvere di marmo fu utilizzato solo per le stesure di base da dipingere poi ad affresco. Tale impiego rimase limitato all’area dell’alto Adriatico e forse trae le sue origini nel Regno Romano d’Oriente.
L’organizzazione del lavoro di allora non consentiva lavorazioni complesse, infatti troviamo realizzazioni in un’unica stesura, di soli due o tre millimetri, con la superficie lisciata e caratterizzata da ondulazioni, una superficie bianca come quella di una tavola per dipingere.
Si dovrà attendere il Rinascimento per vedere la riscoperta del “marmorino” nell’ambito della più generale attenzione per la cultura classica.

Dalla fine del Quattrocento si realizzeranno tutta una serie di costruzioni che cercheranno di riprendere l’architettura romana e queste inizieranno ad avere una semplice lisciatura a calce e polvere di marmo su un intonaco con sabbia, quello che oggi chiameremmo spatolato di calce, allora realizzato a cazzuola, che via via si completa nella sua configurazione originaria di marmorino con lo strato di cocciopesto. Questa elegante finitura caratterizzerà molta dell’architettura veneziana del rinascimento, impreziosirà i fronti che si specchiano sul Canal Grande, confondendosi con quelli in pietra d’Istria, così come molte superfici meno importanti dei centri storici veneti. Il marmorino caratterizzerà anche le mirabili opere architettoniche di grandi artisti veneti come Jacopo Tatti, detto il Sansovino, Andrea di Pietro dalla Gondola, detto il Palladio, Vincenzo Scamozzi e tanti altri. Opere come le Procuratie Nuove, le chiese di San Giorgio e del Redentore a Venezia, le ville venete della Malcontenta, di Maser e della Rotonda, la Loggetta di San Marco a Venezia sono tutte opere apprezzate nel mondo anche per la loro preziosa finitura. Una finitura che simulava il materiale nobile della pietra come ci ricorda il caso di Palazzo dei Diamanti a Ferrara dove la parte di rivestimento in pietra giunge sino alla fine del piano nobile ossia dove l’intonaco imitava l’effetto della pietra; un espediente questo che caratterizzerà molte architetture del tempo.
Il Sei e il Settecento è il periodo che presenta la maggiore diffusione del marmorino, soprattutto nell’area Veneta. Lo strato di calce e polvere di marmo si configura con un maggiore spessore, mediamente quattro millimetri, e la lavorazione avviene mediante ferri più ampi che consentono un perfetto livellamento della superficie. Queste stesure allora insistevano di norma anche su di un altro strato, costituito da calce e cocciopesto, il quale risultava particolarmente indicato nelle zone umide. Da tali realizzazioni che caratterizzeranno le superfici di moltissime edificazioni del Veneto, deriverà anche la denominazione di “marmorino veneziano” che si riferisce proprio all’insieme di questi diversi strati di intonaco.
Parimenti alla pietra naturale anche la pietra artificiale, il marmorino, veniva trattata per aumentare la sua lucentezza e la sua resistenza agli agenti atmosferici, e nel “L’Architettura” di Leon Battista Alberti apprendiamo di una finiura a cera e di una a sapone. La prima di queste finiture, in realtà un insieme di cera e resina mastice con un po’ d’olio, veniva applicata ad intonaco asciutto e veniva fatta penetrare nella superficie con il calore dei bracieri, poi la superficie doveva essere strofinata accuratamente sino alla lucidatura. La seconda di queste finiture era decisamente più semplice e prevedeva la lisciatura dell’ultimo strato irrorandolo con il sapone bianco sciolto in acqua tiepida. L’effetto di queste due finiture era decisamente opposto, la prima portava ad una saturazione cromatica, quindi adatta per le realizzazioni di piccole misure con intense colorazioni, mentre la seconda portava ad un biancore della superficie, più adatta quindi alle ampie pareti chiare. Bisogna fare presente che talvolta l’operazione di encausticatura viene confusa con l’antica tecnica dell’encausto, che invece è il dipingere con colori mescolati a cera sull’intonaco.
Nell’Ottocento abbiamo un grande cambiamento dovuto all’incremento dei costi della manodopera e, per questo motivo, le laboriose lavorazioni a calce diventano sempre più rare e aumentano le realizzazioni e le ricette di cosiddetti “marmorini” costituiti da gesso e colla.

Tinte a calce
Le proprietà tecniche ed estetiche delle tinte a calce, quali l'efficienza chimico-fisica, la traspirabilità, la compatibilità con il supporto, la morbidezza dei toni, la ricchezza e la brillantezza delle componenti cromatiche ecc., comparate con quelle d’altri tipi di pittura murale sono note da sempre e, ancor oggi oggetto di grande attenzione. La calce dispersa in acqua fino a raggiungere l'aspetto di latte vaccino rappresenta il più antico, economico e nobile sistema di finitura delle superfici architettoniche, interne ed esterne. Le tinte a calce consentono altresì la realizzazione di una ricchissima "tavolozza di colori", utilizzando pigmenti inorganici (terre naturali) ed ossidi minerali. Ma la qualità e la tenuta di un trattamento con pitture a calce dipende in larga misura dalle modalità d'impiego seguite, dalla competenza e dalla sensibilità delle maestranze. Dagli anni '60 del Novecento, le tradizionali tinteggiature murali a calce sono state rapidamente e completamente soppiantate dalle moderne 'idropitture' a base di leganti polimerici e pigmenti ottenuti per via chimica. La diffusione di queste pitture ha dato luogo a tutta una serie di inconvenienti, particolarmente gravi a riguardo degli antichi edifici.

Oggi assistiamo ad un progressivo ritorno alla tingeggiatura a calce perchè dotata di alcune qualità che la rendono unica.
Tra queste:

  1. le pitture a calce proteggono le murature in modo perfetto, assicurando soprattutto traspirabilità e benessere abitativo, fattore molto spesso disatteso dalle pitture moderne.
  2. le tinte a calce hanno una compatibilità chimico-fisica totale rispetto agli intonaci a calce, evitano il fenomeni di esfoliazione e il conseguente degrado delle murature.
  3. la manutenzione delle tinte a calce è semplice ed economica, non richiede ad esempio la rimozione degli strati precedenti, ne l'applicazione di primer sintetici che assicurino la tenuta degli strati soprammessi a quelli più antichi.
  4. le tinte a calce hanno un altissimo valore estetico (determinato dalle proprietà ottiche della calcite);
  5. la profondità e varietà delle tinte calce, sono qualità non raggiungibili da nessun altro tipo di pittura.

Le proprietà ottiche della calcite e delle tinte a calce

Una delle più importanti proprietà fisiche della calcite è la birifrangenza ossia lo sdoppiamento dei raggi luminosi che attraversano un cristallo.

Se si pone un romboedro di sfaldatura trasparente su di un punto disegnato su di un foglio di carta e lo si osserva attraverso il cristallo, il punto apparirà sdoppiato. Se si ruota il cristallo si noterà un punto che rimane fermo (raggio ordinario) ed un punto che ruota assieme al cristallo stesso intorno al punto fermo (raggio straordinario). La birifrangenza è una caratteristica fisica di tutti i minerali dimetrici e trimetrici, ma è particolarmente evidente nella calcite grazie alla grande differenza tra i due indici di rifrazione che rispettivamente per il raggio ordinario (1.658) e per quello straordinario (1.486).
Ciò spiega perche una tinta a calce, che dopo la carbonatazione è formata da una coltre di migliardi di cristalli di calcite di piccolissime dimensione, offre qualità estetiche uniche e irripetibili.

Affresco
La pittura a fresco più comunemente chiama 'affresco' è una tecnica di pittura murale privilegiata fin dai tempi antichissimi.
Secondo l'etimologia della parola con affresco s'intende ogni pittura eseguita stendendo il colore (ottenuto semplicemente stemperando i pigmenti in acqua) sull'intonaco fresco, cioè non ancora consolidato o meglio non ancora carbonatato.
I pigmenti, scelti tra quelli compatibili con la calce, sono fissati alla parete ed entrano a far parte dei processi di carbonatazione della calce contenuta nell'intonaco e delle reazioni che portano a formazione di carbonato di calcio e silico-alluminati che danno garanzia di compattezza e durevolezza.
La pittura affresco necessita di un buon supporto, perciò arriccio, intonaco e intonachino devono essere stesi con tutte le cure possibili, tenendo in gran considerazione la scelta degli aggregati e il rapporti con la calce.
L'affresco richiede, inoltre, una certa velocità d'esecuzione perché la superficie d'intonaco deve essere dipinta prima che si compia il processo di carbonatazione: da qui la pratica di procedere all'applicazione dell'ultimo strato d'intonaco e alla pittura per zone limitate (giornate o bancate).

Cenni sulla tecnica dell'affresco

La tecnica dell'affresco ha subito rilevanti modifiche nel corso dei secoli. Se già nell'antica Grecia se ne conosceva probabilmente il procedimento, esso fu certamente applicato nelle opere realizzate a Pompei. Dall'epoca paleocristiana all'alto Medioevo, l'esecuzione dell'affresco è stata legata al sistema detto delle "pontate", che prevedeva la lavorazione per livelli successivi della fascia di muro antistante i ponti delle impalcature. A questo procedimento andò sostituendosi, nell'arte italiana di fine Duecento, l'usanza di lavorare "per giornate", stendendo cioè il tonachino solo sulla porzione di muro che si intendeva dipingere durante la giornata. L'utilizzo del sistema delle "giornate" è essenzialmente legato al nome di Giotto, che inaugurò il nuovo metodo nella grande navata della Basilica Superiore di Assisi. Nello stesso periodo, si diffuse la tecnica delle "sinopie", disegni preparatori color ocra rosso realizzati sopra il disegno a carboncino precedentemente tracciato sullo strato di arriccio. Le più antiche e complete notizie sulla tradizione della pittura a fresco legata a quest'epoca ci sono offerte dal Libro dell'arte di Cennino Cennini (circa 1390). L'utilizzo delle sinopie sopravvisse fino al XV secolo, quando fu sostituito dal sistema dello "spolvero". In questo procedimento il disegno preparatorio veniva realizzato su carta della grandezza dell'affresco da eseguire, che veniva perforata con punte di metallo che ne seguivano i contorni; applicata poi la carta sull'intonaco, vi si passava sopra un sacchetto di polvere di carbone che, penetrando attraverso i piccoli fori della carta, riproduceva i tratti del disegno sulla superficie del muro. A partire dall'inizio del Cinquecento, la carta utilizzata per il disegno preparatorio venne sostituita dal "cartone", che permetteva di fissare sull'intonaco i contorni della composizione evitando il procedimento dello spolvero. Poggiato il cartone sull'intonaco umido, con uno strumento a punta si esercitava una lieve pressione sui contorni del disegno che vi era rappresentato, in modo da lasciarne una traccia sulla parete sottostante. All'artista spettava quasi esclusivamente il compito di realizzare il disegno preparatorio, mentre l'esecuzione a fresco era lasciata alla mano degli aiuti.
Altra tecnica di pittura murale è quella denominata "a secco", che consiste nell'intervenire sulla parete asciutta con colori a calce o a tempera. Questo sistema, già presente nella cultura bizantina e romanica, è prevalentemente usato per completare e perfezionare le pitture a fresco. A differenza di queste ultime, che rimangono saldamente consolidate con il corpo della parete, le pitture a secco si caratterizzano per la loro maggiore fragilità.

I colori compatibli con la pittura a fresco

Non tutti i pigmenti possono essere usati ad affresco. La causticità della calce 'aggredisce' infatti taluni pigmenti e in alcuni casi ne altera completamente le caratteristiche cromatiche.
I pigmenti non compatibili con la calce vanno usati a secco, cioè mescolati con del legante organico e stesi sulla superficie muraria quando il processo di carbonatazione è completato.
Nella tabella che segue sono elencati i principali pigmenti utilizzabili nell'affresco, la tabella riporta altresì la composizione chimica e indicazione sulla stabilità alla luce e all'aria.

Principali pigmenti utilizzabili nell'affresco

Come riconosce un'affresco da una pittura a secco

Alcune semplici constatazioni possono essere di aiuto. Nel caso queste non fossero sufficienti si può ricorrere ad analisi di laboratorio.
Elementi da osservare:

  • Brillantezza e durata dei colori. Una tinta stesa ad affresco in genere risulta più brillante per la ricristallizzazione della calcite in superficie. Il velo di calcite è responsabile anche della buona durata che di solito hanno gli affreschi. Questi elementi, da soli, tuttavia non sono discriminanti.
  • Gamma cromatica limitata. Negli affreschi alcuni tipi di pigmento non possono essere usati perché a contatto con la calce si alterano. Solo una gamma piuttosto limitata di colori, quindi, può essere utilizzata negli affreschi. Questa è la ragione per la quale, laddove si voleva arricchire il dipinto con una varietà maggiore di colori, si prevedevano campiture da stendere 'a secco'.
  • Segni sulla superficie. In alcuni casi osservando una superficie dipinta con luce radente, si possono notare vere e proprie incisioni corrispondenti al disegno.
    Spesso in questi casi si è portati a dire erroneamente che si tratti di superficie dipinta 'ad affresco'. In realtà l’incisione è stata effettuata quando l’intonaco era ancora fresco, è possibile però che il colore, per le ragioni più diverse (economiche, di capacità tecnica, contingenze varie ecc.) sia stato steso successivamente «a secco». La mancanza di queste incisioni, d’altronde, non può portare a escludere una stesura ad affresco; ci sono infatti facciate colorate con una unica campitura di colore, che non necessitano quindi di tracce particolari, tinteggiate «ad affresco» o anche superfici dipinte in cui il pittore ha utilizzato sistemi diversi per avere una traccia sulla superficie del muro del dipinto da eseguire (es. spolvero). Più significativo per il riconoscimento della tecnica di stesura è il segno delle giornate presente solo nelle esecuzioni di affreschi.
  • Modalità di degrado. In presenza di una mancanza (per degrado) di tinta a secco si potrà osservare il fondo liscio dell’intonaco su cui la stessa è stata stesa. Nel caso di un affresco nel distacco e caduta di parti della coloritura vengono compresi pochi mm o decimi di mm di intonachino (questo perché la tinta ad affresco penetra in profondità). La superficie, osservata da vicino, quindi si presenterà rugosa e contemporaneamente sbiadita. Facendo scorrere sopra di essa un dito, molto facilmente si distaccheranno alcuni granuli.
Riferimenti bibliografici di tutta la sezione “Calce” esplicitamente ed integralmente tratti dal Forum Italiano Calce (www.forumcalce.it).